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venerdì 9 aprile 2021

Non si dice Clandestino la Lega è stata Condannata

Non si dice Clandestino la Lega è stata Condannata


Matteo Salvini pur di non parlare di ristoratori e di riaperture torna a un grande classico: la propaganda sui migranti e in particolare oggi il Capitano decide di attaccare Michela Murgia che a Dimartedì ha criticato l’utilizzo del termine “clandestino”. Ma il leader della Lega dimentica che il Carroccio fu condannato per discriminazione dal Tribunale di Milano proprio per questo motivo: è discriminazione

Non si dice clandestino (La Lega è stata condannata per questo)
Cosa ha detto Michela Murgia? La scrittrice spiega: “Penso a cosa si è fatto con la questione migranti: se tu decidi che i migranti li chiami clandestini immediatamente la percezione di quella categoria diventa minacciosa. Il clandestino è uno che ti si infila di nascosto in casa, un migrante è uno che ha la necessità impellente di lasciare la sua terra ed è un disperato, 
bisogna stare molto attenti alle parole che si scelgono”.


Salvini però nel suo goffo tentativo di mettere alla gogna la scrittirce dimentica un episodio che forse invece gli va rinfrescato: nel 2017 la Lega fu condannata proprio per l’utilizzo del termine clandestino presente su alcuni manifesti affissi a Saronno contro 32 richiedenti asilo. Dopo la condanna in primo grado del 2016 era arrivata la conferma. Quella parola è discriminatoria come aveva ritenuto dal Tribunale civile di Milano al quale si erano rivolte le associazioni Asgi (Studi giuridici sull’Immigrazione) e Naga. Ecco cosa vi spiegavamo allora:

Condannata in primo grado, la Lega aveva fatto ricorso e ieri è arrivata una nuova condanna con l’obbligo a pagare i danni, le spese processuali e il pagamento della sentenza sul sito della Lega. “Come ritenuto dal giudice di primo grado, la definizione di “clandestini” nei cartelli affissi dalla Lega Nord a Saronno -ancor più in quanto collegata alla presentazione dei 32 richiedenti asilo come usurpatori, “per vitto alloggio” e non precisati “vizi”, di risorse economiche ai danni degli abitanti del Comune, i quali sarebbero costretti a subire, stante l'”invasione”, l’incremento delle tasse e la riduzione delle pensioni-integra gli estremi della “molestia” – si legge nel dispositivo firmato dal giudice Maria Cristina Canziani – poiché, anche prescindendo dallo “scopo”, ha indubbiamente l'”effetto” di violare la dignità dei predetti cittadini stranieri e di creare intorno a loro, nel contesto territoriale in cui sono inseriti, un clima ostile (in quanto volto a diffondere malevolenza ed a provocare esclusione dalla compagine sociale), umiliante ed offensivo, per motivi di razza, origine etnica e nazionalità”. (Repubblica Milano, 6 febbraio 2020)



Nella sentenza il magistrato scriveva che chiamare “clandestini” i profughi è reato di discriminazione e non può essere considerato “libera manifestazione del pensiero politico” perché viola i principi fondamentali della Costituzione. Insomma Murgia batte Salvini 1 a 0.

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Michela Murgia 

Ho lasciato volutamente passare 24 ore dal mio intervento dell'altra sera a DiMartedì, ore durante le quali ho visto le mie parole prese dai soliti mandanti politici, strumentalizzate appositamente perché fossero fraintese e poi rilanciate sui social media in mille meme, perché pare che il tiro alla Murgia sulle pagine di una certa parte politica faccia sempre furore. 
Da Floris ho espresso concetti che sono semplici se stanno dentro a un contesto, ma diventano banali o addirittura provocatori se il contesto non lo hanno più. Vale per tutti i ragionamenti.
Il primo concetto, sul quale mi è stata fatta una domanda precisa, riguarda il carattere simbolico della divisa: nominare un militare a fare il commissario dell'emergenza covid significa inserire la pandemia in una cornice semantica di "guerra". So che per molti è una cornice adatta, perché il virus ci è stato raccontato come "il nemico" e il modo di affrontarlo è stato descritto come "una trincea". Io non condivido questo impianto metaforico, perché sottintende che il genere umano stia dichiarando guerra a un elemento di natura, cioè al sistema interagente di cui noi stessi facciamo parte. 
Della retorica di guerra fa parte la convinzione che tutto finirà, che "vinceremo il virus" e potremo tornare alla vita "pacifica" di prima. La retorica di guerra è comoda: non cambia i nostri comportamenti e ci consente di pensare che l'esplosione della pandemia sia indipendente dai nostri stili di vita. Ci convince che siamo vittime innocenti, poveri ignari che siamo stati attaccati da una specie nemica. Quella della guerra è una narrazione falsa. Il virus non è un nemico a cui spezzeremo le reni, ma un organismo con cui dovremmo imparare a convivere ripensando i nostri comportamenti. Prima dismettiamo la retorica della trincea, prima acquisiamo quella del cambiamento.
Ma sono metafore, mi si dirà. E' "guerra" per modo di dire. Certo, ma a forza di ripetere metafore di guerra, non è strano se poi a "condurre la lotta" contro la pandemia viene nominato un generale. Siamo l'unico paese europeo ad aver messo un militare a gestire la campagna vaccinale. 
Non vuol dire che è in atto un golpe. 
Non vuol dire che il generale Figliuolo sia un incompetente. 
Non vuol dire che le divise siano pericolose.
Vuol dire che alla domanda "come ne usciamo?" 
le altre nazioni hanno trovato una narrazione politica, noi una militaresca. 
Vuol dire che la politica ci sta dicendo: ho fallito.
Io non ho paura delle divise. Ho paura di una politica che delega la gestione del proprio fallimento a chi indossa una divisa. Ho paura delle divise che fanno il mestiere che non è delle divise. Vedere un generale fare il lavoro di un politico dà la misura esatta della catastrofe istituzionale che stiamo vivendo. Per questo un generale a guida dell'emergenza non solo non mi rassicura, ma mi rivela che siamo sull'orlo del precipizio. 
L'Italia è un paese dove un tecnico fa il presidente del consiglio e un militare gestisce la logistica del vaccino. Se vi sembra normale, è perché abbiamo perso i parametri della normalità.
Quindi no, non ho la sindrome della sessantottina che ha paura del "poliziotto cattivo". Ho la sindrome della cittadina allibita dall'incompetenza dei suoi governanti.
Mentre il generale Figliuolo faceva il mestiere che dovrebbero fare i politici, alcuni politici hanno pensato fosse di loro maggiore urgenza occuparsi di me. Non politici a caso (che poi uno pensa che siano tutti nullafacenti) ma politici precisi: Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Carlo Calenda (se quest'ultimo vi meraglia, a me per niente). In ultimo ieri sera si è aggiunta anche la sottosegretaria alla difesa, la leghista Pucciarelli, che ha rilasciato una nota in cui afferma
 che avrei "offeso italiani e militari".
3 leader di partito e un viceministro, con 600 morti al giorno, scelgono di occuparsi delle mie osservazioni in una trasmissione televisiva. Con questa premessa, in effetti non è strano che serva un militare a gestire la pandemia. Chiunque farebbe le cose con maggiore senso di responsabilità di questa classe dirigente, che ha trasformato l'Italia in un paese così 
diviso che ormai si fida solo se vede una divisa.



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