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venerdì 6 aprile 2018

Berlusconi Promette Galera per chi Evade il Fisco




 Dopo la flat tax galera per chi evade. 
Aumenteremo pene come in Usa.

Silvio Berlusconi che promette pene più severe per gli evasori. Anzi, “la galera”. E’ successo domenica sera durante l’intervista data dall’ex Cavaliere a Massimo Giletti a Non è l’Arena . Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale, ne ha parlato al termine di un passaggio sulla flat tax e quella che lui stesso definisce “rivoluzione del fisco”. “Volevo introdurre la flat tax già nel 1994 con il mio ministro dell’Economia Antonio Martino – ha spiegato a Giletti – L’ho studiata ad Hong Kong, dove è stata introdotta nel 1947. E conosco anche l’applicazione che è stata fatta nella Federazione russa, dove è stata applicata all’inizio con un coefficiente piuttosto alto e poi via via che le entrate dello Stato aumentavano si è ridotta al 13%. Noi cominceremo con il 23% ma con la speranza di scendere”. E alla domanda di Giletti che lo incalza sulle conseguenze per gli evasori il fondatore di Forza Italia, nonostante le sentenze, non ha dubbi: “Se non dovessero pagare vanno in galera. Pensiamo proprio di aumentare le pene schierandole su quelle in vigore negli Stati Uniti”. Nei giorni scorsi era stato l’alleato Matteo Salvini, leader del Carroccio, a chiedere la galera per chi evade: “Se io riduco le tasse e tu non paghi io butto la chiave, sul modello americano”.
IN POCHE PAROLE METTE 
IN GALERA SE STESSO
Andrebbe a fare compagnia a Dell' Utri 
il suo Compagno e Fondatore di Forza Italia

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martedì 3 aprile 2018

Nuovo Governo : Solo Promesse da Rimangiare


Non vi illudete, 
non ci sarà nulla da redistribuire.

Dopo la pausa di riflessione pasquale, in attesa delle consultazioni di Sergio Mattarella per formare il nuovo governo. Capitani di qualsiasi combinazione possibile sono ovviamente la Lega e i Cinque Stelle, i “vincitori” della disfida elettorale. Impensabile un governo senza loro due, molto difficile trovare la quadra per un governo con dentro entrambi.

Il nodo vero non sono le intenzioni e i “magheggi” di Salvini e Di Maio, ma quel che saranno costretti a fare, in totale contrapposizione con le promesse elettorali che li hanno portati in cima alla piramide. In estrema sintesi, Salvini ha giurato che “brucerà la Fornero” (la legge, ovviamente) e interverrà sul sistema fiscale applicando un flat tax, ovvero una tassa sostanzialmente uguale per tutte le fonti di reddito (salari, profitti, rendite finanziarie, ecc). Di Maio ha a sua volta garantito che abbatterà i “costi della politica” e introdurrà il reddito di cittadinanza.

Tralasciamo qui l’analisi puntuale alcune di queste misure, che abbiamo già espresso in molte occasioni (una tassa uguale per tutti è un premio favoloso soltanto per i più ricchi, il reddito di cittadinanza grillino è in realtà un obbligo ad accettare qualsiasi lavoro, eliminare quasi del tutto i “costi della politica” significa consegnare i parlamentari completamente nudi alle “offerte” delle lobby, ecc) e concentriamoci invece sulla realizzabilità di queste misure all’interno del quadro istituzionale ed economico esistente.

Non c’è giornale mainstream che non ricordi i costi, in termini di spesa pubblica, di ognuna di queste proposte. L’unica che taglierebbe qualcosa sono “i vitalizi” e altre voci di contorno della busta paga di un parlamentare. Popolarissima in termini di consenso, ma risparmi solo per pochi spiccioli (qualche decina di milioni davanti a centinaia di miliardi).

Tutte le altre sono voci di spesa in espansione. Un’eresia contro cui è partito immediatamente il fuoco di sbarramento della Troika (Unione Europea, Bce, Fondo Monetario Internazionale).

L’ultimo bollettino della Bce, per esempio, esclude che si possa toccare la legge Fornero; anzi, consiglia caldamente una “riforma” ancora più drastica che allunghi ancora l’età pensionabile e, se necessario, riduca gli assegni pensionistici già in essere, abolendo subito la quattordicesima per le pensioni minime, appena istituita a fini elettorali.

Come ragiona la Bce? Come un ragioniere di lager, al solito. La premessa è che l’Europa sta invecchiando velocemente e questo inciderà pesantemente su due fronti: diminuiranno i posti di lavoro disponibili e la scarsità di giovani al lavoro abbasserà la produttività per unità di lavoro.

Non serve un premio Nobel per trovare i difetti di questa pseudo-argomentazione. I posti di lavoro vanno diminuendo a causa della prorompente avanzata dell’automazione nei processi produttivi, che elimina la necessità di braccia e menti umane sostituendo con hardware e software (robot, insomma). Questo processo, comunque, aumenta e non diminuisce la produttività per unità di lavoro. Insomma, la Bce mente sapendo di mentire. A meno di non esaminare in quali posizioni lavorative verrà impiegata la gran parte dei giovani lavoratori che vengono assunti ora o lo saranno nel prossimo futuro. E’ ovvio che se – come in Italia – la quasi totalità dei nuovi posti di lavoro è nella ristorazione, alberghiero, grande distribuzione, logistica, assistenza alla persona, ecc, con alta precarietà contrattuale e bassissima intensità di capitale, la produttività media del sistema-paese non potrà che calare nonostante il progresso della cosiddetta “industria 4.0”

Non basta, naturalmente. Dice infatti la Bce: lavoratori costretti a restare al chiodo in età avanzatissima saranno mediamente assai meno in salute e quindi graveranno maggiormente sui costi della (residua) sanità pubblica. Quindi, conclude il ragioniere di Treblinka, bisogna riformare “seriamente la spesa pubblica” di tutti i paesi europei altrimenti non si riuscirà a mantenerla entro i parametri fissati dai trattati europei.

Un essere umano normale si preoccuperebbe di individuare dei parametri che consentano all’economia di far fronte alle necessità concrete dalla popolazione. A Francoforte si ragiona all’opposto: i parametri sono intoccabili, dunque sono le popolazioni a doversi adeguare, stringendo molto di più la cinghia.

Un indenuo potrebbe dire: scusate, ma qui in ventidue anni abbiamo già fatto quattro o cinque riforme delle pensioni seguendo le vostre indicazioni (Dini, Maroni, Prodi, Fornero), com’è possibile che si debba ogni volta discutere di come tagliare un altro pezzo?

In effetti la Bce, specie sulla Fornero, ci ha detto e ci dice “bravi!”, aggiungendo anche un “ancora più avanti!”. Un ulteriore aumento dell’età pensionabile è per i banchieri centrali un obbligo fondamentale. Certo, chi come l’Italia l’ha già innalzata molto (67 anni, dal 2019) dovrà apportare modifiche minori su questo punto. Ma dovrà comunque porsi l’obiettivo di ridurre la spesa pensionistica, abbassando il livello degli assegni già erogati. 
Proprio come è stato imposto alla Grecia.

Messa così, i margini di manovra per attenuare gli effetti della Fornero sono praticamente nulli. E infatti l’espertone della Lega, Alberto Brambilla, ex sottosegretario al Lavoro nei governi Berlusconi 1 e 2 (2004-2005), estensore del capitolo pensioni nel programma elettorale della Lega, spiega con tono bellicoso dove andrà a prendere i soldi per ritoccare almeno in parte la riforma più odiata dai lavoratori italiani, specie in quei territori dove è più alta la concentrazione di dipendenti (il Nord, naturalmente). “La spesa previdenziale italiana è all’11% del Pil, non al 16: assolutamente sostenibile. Il resto è assistenza: qui spendiamo 100 miliardi all’anno, senza sapere dove vanno. Il nostro piano non è abolire la Fornero: toccare la previdenza è dinamite, guai a farlo. Ma di rivederla, questo sì. Permettendo a chi ha 35-36 anni di contributi e almeno 64 anni di età, oppure 41 anni e mezzo di contributi a prescindere dall’età di andare in pensione. Intervento chirurgico e fattibile: 50 miliardi in 10 anni. Che si coprono tagliando quell’assistenza che va ai falsi invalidi e a chi non se la merita, perché mente sui requisiti”.

Non è un mistero che il fenomeno dei falsi invalidi è prevalentemente concentrato nel Mezzogiorno, dunque la Lega da una parte non ha mai messo in programma una abolizione della Fornero, ma pensa di far comunque quadrare i conti abolendo grandi quote della spesa assistenziale (che, come ricordiamo sempre, è furbescamente addossata all’Inps, che dovrebbe occuparsi solo di previdenza). Insomma: trasferendo risorse – per quanto spesso immeritate – dal mezzogiorno al Nord. Altro che “nuovo partito nazionale”, la Lega è sempre quella vecchia, 
con giusto una spruzzata di razzismo in più…

Ma questo programma leghista sbatte pesantemente sul “blocco sociale” meridionale che ha rimpinzato di voti il M5S attendendosi – oltre che meno corruzione e qualche idea di sviluppo – anche qualche misura universale di sostegno al reddito. Dunque è un ostacolo non da poco, che costringerebbe uno dei due “promessi sposi” e perdere la faccia con il proprio elettorato sul punto principale che ha determinato il loro successo: le pensioni per la Lega,
 il reddito di cittadinanza per i grillini.

Il punto della spesa pensionistica ha già segnato uno dei passaggi più complicati dei rapporti recenti tra governi italiani e Commissione Europea, che ora ha varato un terribile rapporto sull’invecchiamento della popolazione (Ageing Report 2018)… 
per chiedere le stesse cose indicate dalla Bce.

Secondo la Commissione, infatti, la “gobba previdenziale” si avrà quando la generazione dei quarantenni attuali uscirà dal mercato del lavoro, facendola salire nel 2040 al 18,5% anziché al 16,3% come sostenuto dall’Italia. Un livello più alto di quello registrato nel 2015 ( 15,7%), e la cui previsione aveva giustificato tutte le riforme pensionistiche dal 1996 in poi.

Com’è possibile che si crei una nuova “gobba” dopo 20 anni di tagli sanguinosi per eliminarla? Nel modo più classico dell’economia, che dovrebbe tenere in considerazione – sempre – più parametri. La voce “pensioni” è una classica voce in uscita (nonostante si tratti solo di restituire a fine carriera quel che si è forzosamente accantonato, in contributi, in una vita di lavoro). Questa voce è in effetti diminuita, anche in prospettiva, ma è solo uno dei termini del rapporto debito/Pil. Il problema, soprattutto italiano, è che la spesa è scesa, sì, ma meno del prodotto interno lordo. Insomma, questo paese è e resta in crisi, non ha affatto recuperato le perdite subite nella crisi ormai decennale e soprattutto, le previsioni di crescita per gli anni a venire sono molto più basse di quelle inventate da Renzi e Gentiloni. Secondo la Commissione la crescita del Pil sarà dello 0,7% in media nei prossimi anni, anziché all’1,2% stimato dalla Ragioneria dello Stato; inoltre diminuirà di un terzo il contributo degli immigrati regolari (anche di più, applicando le “ricette” della Lega), occupazione e produttività resteranno asfittiche, l’invecchiamento della popolazione diventerà più grave e il ricambio generazionale continuamente rinviato.

E’ necessario far osservare al lettore che questa triste situazione italiana è dovuta – oltre che alla crisi globale – all’applicazione ferrea di tutti i diktat imposti negli anni passati proprio dalla Commissione. L’austerità ha falcidiato redditi e diritti, comprimendo i consumi interni e dunque la stessa crescita economica (le esportazioni, da sole, non bastano; specie in una congiuntura di incremento della competizione internazionale che si applica proprio sul terreno delle esportazioni); i giovani, pur diminuendo di numero, non hanno lo stesso trovato sbocchi lavorativi e molti hanno dovuto emigrare; il lavoro ha perso valore e peso dei contributi previdenziali (nei contratti precari, spesso, non sono neanche previsti per via degli innumerevoli “incentivi alle imprese”).

Invece di prendere atto del fallimento completo di una strategia economica, Bce-Ue-Fmi pretendono una maggiore dose della stessa medicina. Secondo il noto principio della tossicodipendenza…

In realtà, l’austerità ha rappresentato finora un meccanismo di redistribuzione della ricchezza e delle filiere produttive interne all’Unione Europea, in particolare tra i paesi della zona euro (la moneta comune è uno strumento potentissimo di disciplinamento dei vari Stati, basta ricordare i bancomat chiusi nella Grecia che votava per il referendum). Tutta a favore dei paesi del Nord e del capitale multinazionale, soprattutto finanziario (i padroni dello spread).

L’attuale Parlamento italiano dovrà ora esprimere un governo con almeno una delle due forze teoricamente euroscettiche, che hanno platealmente cavalcato il malessere della maggioranza della popolazione (oltre il 55%, se calcoliamo anche Fratelli d’Italia 
e i voti di forze rimaste sotto la soglia di sbarramento).

La prova del fuoco non è tanto nella capacità o meno di mettere in piedi un esecutivo (Salvini e Di Maio sono disponibili a qualsiasi compromesso, e si vede). Sta nel dover rispettare il “vincolo esterno” (Unione Europea e “mercati”) facendo finta di metterlo in discussione.

Un po’ di numeri aiutano a capire. Soltanto per tenere botta nel 2018 bisognerà varare una manovra da 30 miliardi: 12,4 per impedire che scatti l’aumento dell’Iva (come previsto dalla clausola di salvaguardia), 12 di minori spese per far scendere il deficit pubblico allo 0,9% (come da impegni presi con la Ue), il resto per coprire gli aumenti (miseri e già revocati) previsti dai contratti del pubblico impiego e infine per le spese incomprimibili
 (quelle militari devono aumentare, dice la Nato e la Ue).


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Sarebbe importante Costituire Finalmente un MOVIMENTO NAZIONALE
per Richiedere il Reddito di Esistenza a favore di tutti i Cittadini Italiani. 

Segreti di Matteo Salvini

Salvini Fallito


Salvini il Fallito

Quelli sui quali indaga da mesi la Procura di Genova, 
sono al centro di un’inchiesta dell’Espresso.
 Il settimanale è andato alla ricerca di quel tesoro del Carroccio, quei 48 milioni di euro che il tribunale genovese vorrebbe mettere sotto sequestro dopo la condanna di Bossi e dell’ex tesoriere Belsito nel 2017 per truffa ai danni dello Stato. 
Ma finora il tribunale è riuscito a recuperare poco più di 2 milioni.

Le minacce di Salvini: “Li querelo”
Salvini, che a gennaio aveva dichiarato che sul conto della Lega ci sono mila euro, 
ora minaccia di querelare il settimanale e in un video pubblicato oggi su Facebook li insulta: 
“O sono cretini o in malafede, o sono cretini in malafede”.

“Non ho nascosto milioni di euro, i russi non ci hanno dato né soldi né matrioske – dichiara il leader del Carroccio – All’Espresso rispondo con un sorriso e una querela”.

L’inchiesta
Ma ci sono dei documenti bancari che, secondo i giornalisti dell’Espresso possono far capire che fine abbiano fatto i soldi della Lega. E non solo quella di Salvini, ma anche il Carroccio di Maroni. Durante entrambe le gestioni, infatti, “parecchi milioni sono stati investiti illegalmente“.

“Una legge del 2012 – si legge sull’Espresso – vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea. Il partito che si batte contro l’Europa serva di banche e multinazionali ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali”.

Il ruolo della onlus Più voci
Oltre agli investimenti illegali, dall’inchiesta dell’Espresso – dal titolo I conti segreti di Salvini – emerge un altro importante novità. In tutta questa vicenda infatti c’è una associazione che ha un ruolo fondamentale nella “sparizione” del tesoro. Si tratta di una onlus “di area leghista” che si chiama Più voci. Non ha un sito Internet, non c’è traccia di sue attività sul territorio.

La Lega la userebbe “per ricevere finanziamenti dalle aziende”. Finanziamenti che verrebbero subito “girati a società controllate dal partito. L’associazione – secondo quanto anticipa il settimanale – è stata creata da tre commercialisti fedelissimi a Salvini nell’ottobre del 2015” proprio durante il processo a Bossi e Belsito. Ma chi ha finanziato la onlus? Nell’inchiesta in uscita domani si potranno leggere i nomi delle persone coinvolte in questa vicenda opaca e complicata che getta, dopo gli ultimi scandali, ulteriori ombre sul partito di Matteo Salvini.

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lunedì 2 aprile 2018

ESODATI Ancora Esclusi nel 2018






Esodati: lavoratori che, prima della contro-riforma previdenziale del 2011 e  nelle more delle leggi vigenti, avevano accettato accordi di esodo o erano stati licenziati per essere inseriti in un percorso di accompagnamento alla pensione. La contro-riforma non tenne alcun conto dei diritti quesiti né tanto meno tenne conto di un necessario, equo transitorio che sempre, in Italia come nel resto d'Europa, è stato applicato in questi frangenti. Centinaia di migliaia di famiglie restarono per anni senza alcun reddito. Dopo più di sei anni, circa 150.000 ex lavoratori hanno faticosamente ottenuto la salvaguardia ma altri 6.000 sono tutt'ora abbandonati al loro misero destino. Questo video vuole mantenere alta l'attenzione su questa gravissima disattesa dei principi fondamentali della nostra Costituzione che vuole tutti i cittadini uguali di fronte alla Legge e che tutela le pensioni e il loro potere d'acquisto in quanto sono salario differito, versato dai lavoratori e non sono un investimento finanziario. Semmai, sono un salario doppiamente tassato: come reddito da lavoro prima e come reddito da pensione dopo.


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Se sei disoccupato o se conosci dei disoccupati contattaci. 
Ci riuniamo periodicamente in Camera del Lavoro Milano 
- Corso di Porta Vittoria 43 - Sala Fiom 2° piano. 
Scrivici : 
  movdirdisoccupati(@)libero.it 



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Riunione Periodica di MDD 03-04-2018


Riunione Periodica di MDD

il giorno MARTEDI 03 APRILE 2018 alle ore 15.00

presso la Camera del lavoro - Corso Porta Vittoria 43 Milano - Sala Fiom 2 piano.

Ordine del giorno:

1) Relazione e aggiornamenti dei convegni per il Sostegno al reddito e REI.

2) Programmazione MDD partecipazione a celebrazione del 1 maggio.

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