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venerdì 27 novembre 2020

Maradona è stato Criminalizzato Platini fu Protetto

Maradona è stato Criminalizzato Platini fu Protetto

Il ricordo di Gianni Minà

L’addio commosso del giornalista e un aneddoto gustoso dei due a Italia ’90.

Gianni Minà affida a un lungo post su Facebook il suo addio a Diego Maradona. Un ricordo commosso, sincero, intimo. Come il rapporto che avevano i due.

Con Maradona il mio rapporto è stato sempre molto franco.
Io rispettavo il campione, il genio del pallone, ma anche l’uomo, sul quale sapevo di non avere alcun diritto, solo perché lui era
un personaggio pubblico e io un giornalista.
Per questo credo lui abbia sempre rispettato anche i miei diritti
 e la mia esigenza, a volte, di proporgli domande scabrose.

So che la comunicazione moderna spesso crede di poter disporre di un campione, di un artista soltanto perché la sua fama lo obbligherebbe a dire sempre di sì alle presunte esigenze
giornalistiche e commerciali dell’industria dei media.
Maradona, che ha spesso rifiutato questa logica ambigua, è stato tante volte criminalizzato.

Una sorte che non è toccata invece, per esempio, a Platini, che come Diego ha detto sempre no a questa arroganza del giornalismo moderno, ma ha avuto l’accortezza di non farlo brutalmente, muro contro muro, bensì annunciando, magari con un sorriso sarcastico, al cronista prepotente o pettegolo “dopo quello che hai scritto oggi, sei squalificato per sei mesi. Torna da me al compimento di questo tempo.”
Era sicuro, l’ironico francese, che non solo il suo interlocutore assalito dall’imbarazzo non avrebbe replicato, ma che la Juventus lo avrebbe protetto da qualunque successiva polemica.

A Maradona questa tutela a Napoli non è stata concessa, anzi, per tentare di non pagargli gli ultimi due anni di contratto, malgrado le tante vittorie che aveva regalato in pochi anni agli azzurri, nel
1991 gli fu preparata una bella trappola nelle operazioni antidoping successive a una partita con il Bari, in modo che fosse costretto ad andarsene dall’ Italia rapidamente.
Eppure nessuno, né il presidente Ferlaino, né i suoi compagni 
(che per questo ancora adesso lo adorano) né i giornalisti,
né il pubblico di Napoli, hanno mai avuto motivo di dubitare della lealtà di Diego.

Io, in questo breve ricordo, a conferma di questa affermazione, voglio segnalare un semplice episodio riguardante il nostro rapporto di reciproco rispetto.
Per i Mondiali del ’90, con l’aiuto del direttore di Rai Uno Carlo Fuscagni, mi ero ritagliato uno spazio la notte, dopo l’ultimo telegiornale, dove proponevo ritratti o testimonianze dell’evento
in corso, al di fuori delle solite banalità tecniche o tattiche. Questa piccola trasmissione intitolata “Zona Cesarini”, aveva suscitato però il fastidio dei giovani cronisti d’assalto (diciamo così…) che
occupavano, in quella stagione, senza smalto, tutto lo spazio possibile ad ogni ora del giorno e della notte. La circostanza non era sfuggita a Maradona ed era stata sufficiente per avere tutta la sua simpatia e collaborazione.
Così, nel pomeriggio prima della semifinale Argentina-Italia, allo stadio di Fuorigrotta di Napoli, davanti a un pubblico diviso fra l’amore per la nostra nazionale e la passione per lui, Diego,
mi promise per telefono: “Comunque vada verrò al tuo microfono a darti il mio commento. E tengo a precisare, solo al tuo microfono.”

La partita andò come tutti sanno. Gol di Schillaci e pareggio
 di Caniggia per un’uscita un po’ avventata di Zenga.
Poi supplementari e calci di rigore con l’ultimo, quello fondamentale, messo a segno proprio da quello che i napoletani chiamavano ormai “Isso”, cioè Lui, il Dio del pallone.
L’atmosfera rifletteva un grande disagio. Maradona, per la seconda volta in quattro anni, aveva riportato un’Argentina peggiore di quella del Messico, alla finale di un Mondiale che la Germania, qualche giorno dopo, gli avrebbe sottratto per un rigore regalato dall’arbitro messicano Codesal, genero del vicepresidente della Fifa Guillermo Cañedo, sodale di Havelange, il presidente brasiliano del massimo ente calcistico, che non avrebbe sopportato due vittorie di seguito dell’Argentina, durante l’ultima parte della sua gestione.

C’erano tutte le possibilità, quindi, che Maradona disertasse l’appuntamento. E invece non avevo fatto a tempo a scendere negli spogliatoi, che dall’enorme porta che divideva gli stanzoni
delle docce dalle salette delle tv, comparve, in tenuta da gioco, sporco di fango e erba, Diego, che chiedeva di me, dribblando perfino i colleghi argentini. C’era, è vero, nel suo sguardo,
un’espressione un po’ ironica di sfida e di rivalsa verso un ambiente che in quel Mondiale, non gli aveva perdonato nulla, ma c’era anche il suo culto per la lealtà che, per esempio, lo aveva fatto
espellere dal campo solo un paio di volte in quasi vent’anni di calcio.

Cominciammo l’intervista, la più ambita al mondo in quel momento, da qualunque network.
Era un programma registrato che doveva andare in onda mezz’ora dopo, perché più di trent’anni di Rai non mi avevano fatto “meritare” l’onore della diretta, concessa invece al cicaleggio più inutile.
Ma a metà del lavoro eravamo stati interrotti brutalmente non tanto da Galeazzi (al quale per l’incombente tg Diego concesse un paio di battute) ma da alcuni di quei cronisti d’assalto che già
giudicavano la Rai cosa propria e che pur avendo una postazione vicina ai pullman delle squadre, volevano accaparrarsi anche quella dove io stavo intervistando Maradona. El Pibe de Oro fu
tranciante: “Sono qui per parlare con Minà. Sono d’accordo con lui da ieri. Se avete bisogno di me prendete contatto con l’ufficio stampa della Nazionale argentina. Se ci sarà tempo vi accorderemo qualche minuto.” Aspettò in piedi, vicino a me, che terminasse l’intervista con un impavido dirigente del calcio italiano, disposto a parlare in quella serata di desolazione, poi si risedette, battemmo un nuovo ciak e terminammo il nostro dialogo interrotto. Quella testimonianza speciale, di circa venti minuti, fu richiesta anche dai colleghi argentini, e andò in onda (riannodate le due parti) dopo il telegiornale della notte.
Fu un’intervista unica e giornalisticamente irripetibile, solo per l’abitudine di Diego Maradona a mantenere le parole date.

Lo stesso aveva fatto per i Mondiali americani del ’94 quando aveva accettato per due volte di ritornare all’attività agonistica in nazionale prima per assicurare la partecipazione alla querida
Argentina nel match di spareggio contro l’Australia e poi giocando tre partite all’inizio dei Mondiali stessi, prima che lo fermassero. Eppure, val la pena ricordarlo, nel momento in cui, con un’accusa
ridicola era stato sospeso per doping dopo le prime due partite.

La Federazione del suo amato paese non aveva mandato nemmeno un avvocato a respingere legalmente l’imputazione che non stava in piedi: “Hanno preferito trafiggere con un coltello il cuore di un bambino” aveva commentato Fernando Signorini, il suo allenatore e consigliere, quando la mattina dopo ci eravamo incontrati.
L’intervista da un motel dove aveva soggiornato con i parenti l’avevo ottenuta io. I giapponesi l’avevano mandata in diretta e i francesi in differita, 
un po’ di ore dopo, non credendola possibile.
Così, insomma, questo modo di comportarsi da grande e da piccino lo ha portato a superare ogni avversità e pericoli – anche quelli che sembravano impossibili – della sua esistenza.
Dalla polvere di Villa Fiorito, nella provincia di Buenos Aires, dove è cominciata la sua avventura di più grande calciatore mai nato alla militanza politica nei partiti progressisti latinoamericani per i quali
ha dato molte volte la propria faccia.

Nessun calciatore è mai arrivato a tanto.

Diego, per una ironia del destino, se n’è andato da questo mondo
 lo stesso giorno di un altro gigante, Fidel Castro.

Alla fine li rimpiangeremo, come succede a chi ha lasciato una traccia
 indelebile nel gioco del calcio e della vita.

E ora silenzio.

Il suo prezzo al mondo del pallone lo ha pagato da tempo.







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FONTANA E GALLERA SONO 2 INCOMPETENTI

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mercoledì 25 novembre 2020

Diego Armando Maradona è Morto

Diego Armando Maradona è Morto


Addio Diego, il più grande di tutti. Era già un mito, ora è eterno

Se ne è andato l’artista del pallone, l’anima della sua Argentina e di quella Napoli che ha sempre adorato. Pur con tutte le sue contraddizioni, è stato un eroe per tanti, soprattutto gli ultimi

È resuscitato più volte nella sua vita spericolata. Stavolta non ce l’ha fatta e il mondo piange il più grande di tutti con un pallone fra i piedi, ma anche con qualsiasi oggetto sferico.

Diceva Michel Platini, uno che l’ha sfidato tante volte e di sicuro ha un’alta considerazione di se stesso: “Quel che io faccio con un pallone Maradona lo fa con un’arancia”. Populista, peronista, castrista, seguace di Che Guevara, anima di Buenos Aires e cuore di Napoli. Diego è stato questo e tanto altro, impossibile in poche righe inquadrare uno dei pochi miti veri, raccontato in libri, film, serie tv e rotocalchi. Mito in vita, mentre da Che Guevara a James Dean, altri sono morti giovani, diventando dopo personaggi letterari.


  Ha sopportato il peso di tutto questo - perché non è facile essere Diego Armando Maradona - senza aver mai paura della folla, della sua gente, che a volte lo travolgeva. Lui è stato unico in tutto. Perché ai tempi di Pelè non c’erano abbastanza immagini perché i giovani d’oggi ne abbiano una memoria approfondita. Mentre i campioni odierni, dai Messi ai Ronaldo, hanno una regia marketing per ogni clip postata, studiata a tavolino. Maradona no. Lo trovi a giocare su un campo sterrato di Acerra rischiando le gambe per aiutare un bimbo malato, o riscaldarsi a Stoccarda, prima della finale vinta di Coppa Uefa, palleggiando con un bimbo. E rimani affascinato guardando quelle magie e quella gioia, perfettamente scandita da “Live is life”. Lui la sua l’ha vissuta in maniera profonda, cadendo e rialzandosi senza mai avere vergogna di mostrarsi. Scendendo negli inferi della dipendenza, rialzandosi sempre con dignità, mai nascondendosi. In quest’ultimo, complicato, periodo della sua vita è riuscito in un altro dei suoi capolavori. Ha messo insieme idealmente tutti i suoi figli, facendo in modo che diventassero fratelli. Dalma e Gianinna, con Diego Fernando, Jana e il napoletano Diego jr. Diverse le madri, diverso il carattere, unico l’amore per un padre perdonato e amato. Perché a loro ha saputo chiedere scusa per la vita spericolata. Sarà per questa sua manifesta imperfezione, in contrasto aspro con la perfeziona divina sul campo, che la gente lo adora e lo venera,
 addirittura c’è chi lo prega come una divinità.

Mano de Dios

Mano de Dios

   Ha vinto un Mondiale favoloso nel 1986, generando letteratura come nessun altro terrestre con la pelota. La simbologia di una guerra all’Inghilterra, per le Malvinas, vinta con la “Mano de Dios” e il gol del secolo. Lì l’uomo diventa eroe per l’eternità, sublimando un’Argentina che vive un momento fra i più alti della sua storia. E i Mondiali vinti potrebbero essere tre, con quella discussa finale persa nel ‘90 contro la Germania, a Roma, e poi quella estromissione nel ‘94 ad opera della Fifa: usato come figurina e poi scaricato quando si teme che la sua Argentina possa vincere.

   Nessuna città si è mai identificata tanto come Napoli con Diego, somigliandosi in tutte le contraddizioni. Famiglia e amanti. Bellezza e spreco. Amore e droga. Sullo sfondo il riscatto per gli ultimi, la lotta contro i padroni, del calcio e non solo. Il no alla Juve. Diego ha vissuto la città sino in fondo, scendendo negli inferi, nelle zone più buie. Ma regalando il periodo più solare. A volte si fermava con la macchina in una curva panoramica di Posillipo, si godeva il panorama sul Golfo e ringraziava Dio per quella fortuna. Diceva: “A Napoli ho passato sette anni, ma nel mio cuore contano il triplo per il legame che ho con quella splendida gente”. Cui ha portato due scudetti, una Coppa Uefa, una Supercoppa, una Coppa Italia e soprattutto la felicità di recarsi alla domenica a Fuorigrotta sapendo di assistere ogni volta a qualcosa di straordinario. Ha vinto anche al Boca e a Barcellona qualcosa, ma nulla che possa essere paragonato all’intensità di quanto successo a Napoli. Oggi c’è una generazione di Diego Armando, ormai ultratrentenne, che potrà tramandare quelle gesta, che vivono in ogni angolo della città.

Da un murale a un altarino. Perché a Napoli e non solo è stato anche per una generazione unità di misura. Se facevi qualcosa di straordinario nella tua vita eri “a livello Maradona”. Se la sparavi grossa subito ti rispondevano: “E chi ti credi di essere? Maradona?”. Ora che ha raggiunto gli adorati genitori Doña Dalma e Don Diego, magari non sentiremo più i benpensanti che per una vita lo hanno giudicato e condannato. Adesso di Diego resterà la favola dell’eroe che infiammò una nazione e rese felici i napoletani. Ma è tutto vero.
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FONTANA E GALLERA SONO 2 INCOMPETENTI

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Lo Stupro di Franca Rame


Lo Stupro di Franca Rame


La sera del 9 marzo del 1973, a Milano, #Franca #Rame fu caricata su un furgone, torturata e violentata a turno da cinque uomini. Proprio come racconta il monologo. Fu uno stupro punitivo: i violentatori erano neofascisti, volevano farla pagare per le sue idee politiche, ma scelsero di punirla in quanto donna. Non furono mai arrestati, nonostante molti anni dopo un pentito abbia fatto i loro nomi, perché il reato era ormai prescritto. Ma Franca Rame ha sconfitto la loro violenza con la parola. Quella parola che a tante di noi donne ancora manca.

C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore…
Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, 
girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare.
Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. 
Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.
Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che confusione! Come sono salita su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta 
o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso?
Non lo so.
È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Sono come congelata.
Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena… s’è seduto comodo… e mi tiene tra le sue gambe… fortemente… dal di dietro… come si faceva anni fa, quando si toglievano le tonsille ai bambini.
L’immagine che mi viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio canta, neanche tanto forte. Perché la musica? Perché l’abbassano? Forse è perché non grido.
Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono altri tre. Li guardo: non c’è molta luce… né gran spazio… forse è per questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che fanno? Si stanno accendendo una sigaretta.
Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?
Sta per succedere qualche cosa, lo sento… Respiro a fondo… due, tre volte. Non, non mi snebbio… Ho solo paura…
Ora uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a sinistra. Vedo il rosso delle sigarette. Stanno aspirando profondamente.
Sono vicinissimi.
Sì, sta per succedere qualche cosa… lo sento.
Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli… li sento intorno al mio corpo. Non ha aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad essere pronto a tenermi più ferma. Il primo che si era mosso, mi si mette tra le gambe… in ginocchio… divaricandomele. È un movimento preciso, che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, perché subito i suoi piedi 
si mettono sopra ai miei a bloccarmi.
Io ho su i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con su i pantaloni? Mi sento peggio che se fossi nuda!
Da questa sensazione mi distrae un qualche cosa che subito non individuo… un calore, prima tenue e poi più forte, fino a diventare insopportabile, sul seno sinistro.
Una punta di bruciore. Le sigarette… sopra al golf fino ad arrivare alla pelle.
Mi scopro a pensare cosa dovrebbe fare una persona in queste condizioni. Io non riesco a fare niente, né a parlare né a piangere… Mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare qualche cosa di orribile.
Quello accucciato alla mia destra accende le sigarette, fa due tiri e poi le passa a quello che mi sta tra le gambe. Si consumano presto.
Il puzzo della lana bruciata deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf, davanti, per il lungo… mi tagliano anche il reggiseno… mi tagliano anche la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature…
Ora… mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si dànno da fare per spogliarmi: 
una scarpa sola, una gamba sola.
Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena.
Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare.
Devo stare calma, calma.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”. Io mi concentro sulle parole delle canzoni; il cuore mi si sta spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho. Non voglio capire. Non capisco nessuna parola… non conosco nessuna lingua. Altra sigaretta.
“Muoviti puttana fammi godere”.
Sono di pietra.
Ora è il turno del secondo… i suoi colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.
“Muoviti puttana fammi godere”.
La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa più volte sulla faccia. 
Non sento se mi taglia o no.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”.
Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie.
È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro, delle bestie schifose.
“Sto morendo, – riesco a dire, – sono ammalata di cuore”.
Ci credono, non ci credono, si litigano.
“Facciamola scendere. No… sì…” Vola un ceffone tra di loro. Mi schiacciano una sigaretta sul collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere finalmente svenuta.
Poi sento che mi muovono. Quello che mi teneva da dietro mi riveste con movimenti precisi. Mi riveste lui, io servo a poco. Si lamenta come un bambino perché è l’unico che non abbia fatto l’amore… pardon… l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, ma sento la sua fretta, la sua paura. Non sa come metterla col golf tagliato, mi infila i due lembi nei pantaloni. Il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere… e se ne va.
Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male… nel senso che mi sento svenire… non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo… per l’umiliazione… per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello… per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero… mi fanno male anche i capelli… me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia… è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca.
Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.
Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido…
Torno a casa… torno a casa… Li denuncerò domani.

GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE



GIORNATA MONDIALE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE 
-25 novembre -

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martedì 24 novembre 2020

La Cura di Trump è Costata 1 Milione di Euro

La Cura di Trump è Costata 1 Milione di Euro


Coronavirus, Capua: “Trump guarito dal Covid? 
La sua cura costata un milione di euro, non è per tutti”

La virologa, direttrice dell’One Health Center dell’università della Florida, ha spiegato che la cura ricevuta dal presidente uscente degli Stati Uniti è tutt'altro
 che applicabile ai pazienti malati di Covid

Ha parlato con spavalderia del Covid e dopo avere trascorso solo tre giorni ricoverato al Walter Reed Medical Center ha ripreso i comizi e definito addirittura “una benedizione” il Sars-Cov-2. Ma quello che ha ricevuto Donald Trump per guarire è stato “un trattamento da superman, tipo criptonite”. La virologa Ilaria Capua, direttrice dell’One Health Center dell’università della Florida,  ha spiegato che la cura ricevuta dal presidente uscente degli Stati Uniti è tutt’altro che applicabile ai pazienti malati di Covid. In pratica, ha detto la scienziata, “gli hanno fatto una dose sostanziosa di anticorpo monoclonale, che è un missile terra-aria. Blocca il virus quando sta entrando nel sangue e quindi non riesce a provocare malattia. Solo che questa medicina non è per tutti. È costosissima. La cura di Trump sarà costata forse un milione di euro. È una cura da presidente”.

“Gli anticorpi monoclonali – spiega la virologa, secondo cui Trump per la gestione della pandemia ha dato “il peggior esempio possibile” – sono dei missili che, però, si producono in piccolissime quantità. E per funzionare devono essere super concentrati. A Trump hanno fatto una dose ‘da pecora’, per non dire da cavallo. Quindi è riuscito a fare l’ultima parte della campagna elettorale ridicolizzando il virus. Le persone che gli credono, e sono tante, hanno visto il loro presidente così spavaldo. Ma non vale! Perché a lui hanno fatto la criptonite“, ironizza Capua. Che ricorda come gli anticorpi monoclonali “sono terapie super speciali. È illusorio pensare 
che questa cura possa arrivare a tutte le persone in pochi mesi”, conclude.




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FONTANA E GALLERA SONO 2 INCOMPETENTI

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Marianne la Polacca

Marianne la Polacca


Questa foto è diventata l’icona della protesta contro il divieto d’aborto
di Helena Janeczek
Una giovane donna sventola energica una bandiera arcobaleno di imponenti dimensioni. Lo sfondo è un’aria densa di fumo che rafforza l’idea di una battaglia, di una rivoluzione. La qualità sgranata della foto concorre a trasmettere che lo scatto cattura un momento storico.
L’autore (o l’autrice) sconosciuto ha compiuto un’impresa difficilissima:
 imporre un’immagine, farla diventare iconica.
Donne e uomini di tutto il mondo rilanciano la foto corredandola di notizie sulla mobilitazione contro il divieto d’aborto esteso alle gravi malformazioni fetali che il governo polacco ha imposto tramite la Corte Costituzionale. Gli hashtag esprimono solidarietà alle donne polacche e riprendono gli originali #StrajkKobiet #pieklokobiet #ToJestWojna #Wypieradala.
Sciopero delle donne, inferno delle donne, questa è guerra, levatevi di mezzo. Gli ultimi due colpiscono per il linguaggio agguerrito con cui le donne si propongono non come vittime di un potere misogino, ma come protagoniste di una lotta che riguarda i fondamenti della democrazia e infatti si sta allargando. Molti uomini, perlopiù giovani, sono scesi in strada con le donne o hanno postato dei selfie esibendo un cartello con la scritta # KobietaDecyduie, decide la donna. Durante una lezione online di un corso seguito da mio figlio, un compagno polacco ha raccontato di essere andato al consolato di Milano per contestare «il nostro governo fascista».
La foto della donna che sventola la bandiera è apparsa su Twitter il 30 ottobre. L’ha postata Marta Habior, produttrice cinematografica di Varsavia che nella bio avverte: “Banno ogni espressione di sessismo”. Il 30 ottobre, due giorno dopo lo sciopero delle donne esteso a tutto il Paese, a Varsavia si è tenuta la manifestazione nazionale. Le immagini dall’alto mostrano i grandi viali invasi da una massa di persone senza precedenti dopo l’epoca di Solidarnosc. Centomila, dicono le stime, ma è impossibile stabilire se non fossero più del doppio. Il simbolo del movimento, un minaccioso fulmine rosso, è dipinto sui cartelli, sui vestiti, sulle mascherine, sui volti delle donne. Vogliono far arrivare ovunque le loro istanze, lo fanno con i “ fuck off” e “ PiS off” (il riferimento è al partito di governo) scritti sui cartelli o alzando semplicemente il dito medio. Cantano una nuova versione di “ Bella ciao” dove “ciao” si fonde con “ cia?o”, corpo, il corpo che appartiene alla donna. Il postcomunismo è alle spalle di questo movimento fatto sopratutto di ragazze. C’è addirittura una che alza nel cielo di Varsavia un cartello con il “ No pasaran!” lanciato nel 1936 dalla “pasionaria” Dolores Ibarruri.
Nulla però ha saputo comunicare quell’energia dirompente come lo scatto della donna con la bandiera, immagine che rievoca la Marianne di Delacroix, la “libertà che guida il popolo”. Solo che qui non c’è un’allegoria della rivoluzione, ma una donna vera di cui Marta Habior 
nel suo tweet tratteggia anche una storia.
«Non ho molti cattolici tra i miei amici. Ho un’amica che è sempre stata ed è profondamente credente e praticante. Una madre. Lavora in un settore in cui è meglio non mettersi contro il governo. Eccola qui. Oggi. Mi è caduta la mascella».
Avvolta dal cappotto nero e dalla mascherina bianca, l’emula accidentale della Marianne a seno nudo porta sciolti e scoperti solo i capelli del colore delle streghe. Un caso, certo.
Mentre a renderla veramente emblematica della “libertà che guida il popolo” è la bandiera arcobaleno che lei, cattolica, madre, lavoratrice ricattabile, ha deciso di portare in spalla.





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FONTANA E GALLERA SONO 2 INCOMPETENTI

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lunedì 23 novembre 2020

La Vostra Televisione Trash

La Vostra Televisione Trash


Barbara D’Urso, Maria De Filippi, Alfonso Signorini,
 Alessia Marcuzzi e tutta la schiera della vostra bolgia infernale… io vi accuso.
Vi accuso di essere tra i principali responsabili del decadimento culturale del nostro Paese, del suo imbarbarimento sociale, della sua corruzione e corrosione morale, della destabilizzazione mentale delle nuove generazioni, dell’impoverimento etico dei nostri giovani, 
della distorsione educativa dei nostri ragazzi.
Voi, con la vostra televisione trash, i vostri programmi spazzatura, i vostri pseudo spettacoli artefatti, falsi, ingannevoli, meschini, avete contribuito in prima persona e senza scrupoli al Decadentismo del terzo millennio che stavolta, purtroppo, non porta con sé alcun valore ma solo il nulla cosmico.
Siete complici e consapevoli promotori di quel perverso processo mediatico che ha inculcato la convinzione di una realizzazione di sé stessi basata esclusivamente sull’apparenza, sull’ostentazione della fama, del successo e della bellezza, sulla costante ricerca dell’applauso, sull’approvazione del pubblico, sulla costruzione di ciò che gli altri vogliono e non di ciò che siamo.
Questo è il vostro mondo, questo è ciò che da anni vomitate dai vostri studi televisivi.
Avete sdoganato la maleducazione, l’ignoranza, la povertà morale e culturale come modelli di relazioni e riconoscimento sociale, perché i vostri programmi abbondano con il vostro consenso di cafoni, ignoranti e maleducati. Avete regalato fama e trasformato in modelli da imitare personaggi che non hanno valori, non hanno cultura, non hanno alcuno spessore morale.
Rappresentate l’umiliazione dei laureati, la mortificazione di chi studia, di chi investe tempo e risorse nella cultura, di chi frustrato abbandona infine l’Italia perché la ribalta e l’attenzione sono per i teatranti dei vostri programmi.
Parlo da insegnante, che vede i propri alunni emulare esasperatamente gli atteggiamenti di boria, di falsità, di apparenza, di provocazione, di ostentazione, di maleducazione che diffondono i personaggi della vostra televisione; che vede replicare nelle proprie aule le stesse tristi e squallide dinamiche da reality, nella convinzione che sia questo e solo questo il modo di relazionarsi con i propri coetanei e di guadagnarsi la loro accettazione e la loro stima; che vede lo smarrimento, la paura, l’isolamento negli occhi di quei ragazzi che invece non si adeguano, non cedono alla seduzione di questo orribile mondo, ma per questo vengono ripagati con l’emarginazione e la derisione.
Ho visto nei miei anni di insegnamento prima con perplessità, poi con preoccupazione, ora con terrore centinaia di alunni comportarsi come replicanti degli imbarazzanti personaggi che popolano le vostre trasmissioni, per cercare di essere come loro. E provo orrore per il compiacimento che trasudano le vostre conduzioni al cospetto di certi personaggi.
Io vi accuso, dunque, perché di tutto ciò siete responsabili in prima persona.
Spero nella vostra fine professionale e nella vostra estinzione mediatica, perché solo queste potranno essere le giuste pene per gli irreparabili danni causati al Paese.

(Post Trovato nel Web)





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FONTANA E GALLERA SONO 2 INCOMPETENTI

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domenica 22 novembre 2020

Brigate Rosse " False e Vere "

Brigate Rosse " False e Vere "



Le Brigate Rosse “vecchie”, nate nel 1970, morirono nel 1988 e le cosiddette “nuove”, 
emerse nel 1999, cessarono di esistere nel 2003.

Oggi invece, ben 17 anni dopo i loro ultimi fuochi di guerriglia, qualcuno afferma che lo spettro delle Br sarebbe ancora pronto a colpire.

Secondo Il Corriere della Sera, ad esempio, nell’Italia della prima metà di novembre del 2020 ci sarebbe stato un comunicato delle “nuove Brigate Rosse” contenente delle precise minacce nei confronti del PD e di svariati rappresentanti delle istituzioni emiliano-romagnole.

Verifichiamo questa notizia. Siamo sicuri che sia vera?

Per dare una risposta è necessario analizzare quel comunicato dall’inizio alla fine.

L’intestazione, fatta a mano libera e senza alcun criterio estetico, presenta una stella a cinque punte sgangherata dentro un cerchio deforme e la scritta “BRIGATE ROSSE” come se tutto questo insieme fosse uscito dalla penna di un bambino della prima elementare.

Nell’incipit inoltre c’è uno strano sapore risorgimentale: “Il Popolo italiano si è RISVEGLIATO e condanna la dittatura imposta da una classe politica incapace e impreparata in materia economico-finanziaria e sanitaria.”

Vi si narra di un generico, interclassista e mitico Popolo italiano, con la p maiuscola, che oggi si sarebbe risvegliato; di una “classe politica” ignorante, fatto per la verità ben acclarato su scala mondiale da diverso tempo, e di misure governative per prevenire la diffusione del Covid 19 che, a partire da quelle indispensabili come il distanziamento fisico di un metro fra le persone e l’uso della mascherina sulla bocca e sul naso, costituirebbero gli elementi fondamentali di una dittatura che somiglia fin troppo alla “dittatura sanitaria” di cui hanno parlato i dirigenti più populisti e reazionari del centro-destra italiota.

Nella seconda frase si annuncia che giovedì 19 novembre 2020 sarebbe la data di avvio di una rivoluzione, cioè di una lotta fatta in modo più simile alle italiche stragi di Stato scandite dalle bombe nelle stazioni ferroviarie, nelle banche e in altri luoghi pubblici che alle dinamiche degli attentati realizzati dai discepoli del repubblicano Giuseppe Mazzini, l’uomo considerato più pericoloso e “terrorista” nell’Occidente degli ultimi secoli!

Nella terza frase si chiede “a tutti i politici di emanare un nuovo DPCM” per togliere di mezzo la “dittatura” di cui sopra. In altre parole, vi si parla come se tutti i politici del Parlamento italiano avessero il potere di emanare un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri! Roba da veri e propri analfabeti funzionali!

In seguito ci sono diversi punti con i quali, in sintesi, si chiede alla classe politica di riaprire tutto (luoghi di ristoro, di svago e di studio) “senza limiti di orario, distanziamento e uso di mascherine”; di abolire lo smart working e le norme di sicurezza sanitaria contro il Covid 19; di comunicare a tutti gli italiani che un fenomeno globale come la “Pandemia da Covid 19” sarebbe terminato; di “liberare le forze dell’ordine dall’umiliante compito di controllare e multare i cittadini che violano le norme anti-covid” e, infine, di eliminare il “terrorismo mediatico 
che sta distruggendo la salute mentale degli italiani”.

Ebbene, “le nuove Brigate Rosse” chiederebbero in maniera del tutto illogica che una classe politica incapace e impreparata liberi il popolo italiano!

A dire il vero, questo messaggio non solo non ha nulla in comune con i significanti, ma nemmeno con i significati dei testi scritti dalle Br realmente esistite.

Qui le Br appaiono talmente “nuove” da esprimere idee molto diverse da quelle veicolate dalle vere Br.

A questo punto, possiamo fare una sola riflessione: chi ha scritto quel falso comunicato o è un burlone in vena di scherzi di cattivo gusto, oppure è qualche provocatore
 negazionista dell’esistenza del Covid 19.

In ogni caso, l’autore di tale fake new fa cose ben diverse rispetto alle uniche e vere nuove brigate intervenute nel contesto sociale e politico italiano del 2020: le brigate mediche cubane, proprio quelle che meriterebbero il premio Nobel per la Pace!



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FONTANA E GALLERA SONO 2 INCOMPETENTI

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Confermata Vittoria di Biden dopo Riconteggio Voti in Georgia

Confermata Vittoria di Biden dopo Riconteggio Voti in Georgia

Confermata Vittoria di Biden dopo Riconteggio Voti in Georgia

Confermata Vittoria di Biden dopo Riconteggio Voti in Georgia


Al termine del riconteggio manuale dei voti delle presidenziali Usa del 3 novembre, la Georgia conferma la vittoria del candidato dem Joe Biden, che mantiene un vantaggio, esiguo ma decisivo, sul presidente Donald Trump. L'ufficio del segretario di Stato della Georgia - che per legge deve certificare entro oggi i risultati - ha annunciato che dopo il riconteggio di cinque milioni di voti, Biden conquista il 49,5% delle preferenze contro il 49,3% di Trump: uno scarto di 12.284 voti, pari ad appena lo 0,2%.   
 Il riconteggio manuale delle schede, iniziato venerdi' scorso, era stato ordinato dopo che il primo scrutinio aveva registrato un vantaggio per il candidato dem di 12.780 voti (circa lo 0,3%). Il leggero calo nelle preferenze per Biden non sposta quindi il risultato della competizione elettorale, che era stata assegnata all'ex vicepresidente la settimana scorsa, trasformandolo nel primo democratico a conquistare la Georgia dopo Bill Clinton nel 1992.   Le autorità della Georgia hanno, inoltre, ribadito che non ci sono state frodi o irregolarità nel voto.   


 Dopo che il risultato del voto sarà certificato, le leggi dello Stato permettono al comitato elettorale di Trump di chiedere un nuovo riconteggio, dato lo stretto margine. Il team del presidente ha fino al 24 novembre per fare richiesta ufficiale. Legale Biden: piano Trump Michigan incostituzionale Bob Bauer, il legale del presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden, ritiene incostituzionale la richiesta avanzata dalla campagna di Trump al Parlamento locale del Michigan di non certificare la vittoria del candidato democratico alle presidenziali del 3 novembre. "Nessuna legislatura statale nella storia del nostro Paese ha mai fatto cioò che Donald Trump apparentemente vorrebbe dalla legislatura del Michigan. Sarebbe ignorare i risultati di un voto popolare e strappare il controllo dagli elettori", ha dichiarato Bauer in un aggiornamento sulla battaglia legale per la transizione di potere.  


Tensioni anche in Pennsylvania Donald Trump sta pensando di convocare alla Casa Bianca anche parlamentari locali della Pennsylvania, oltre a quelli del Michigan, che verranno questo pomeriggio. Lo riferisce la Cnn, citando due fonti ben infornate. Secondo l'emittente, il presidente ne ha parlato con i collaboratori ma non è chiaro se gli inviti siano partiti. La Pennsylvania, dove ha vinto Joe Biden, deve certificare ufficialmente il risultato lunedì. Trump, che rifiuta di ammettere la sconfitta, ha già sollevato polemiche convocano i leader repubblicani della camera e il senato del parlamento del Michigan. Il timore è che voglia cercare di convincerli a nominare grandi elettori pro Trump, sovvertendo il mandato del voto popolare.



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Nixon e Kissinger dietro il Golpe Cile

Nixon e Kissinger dietro il Golpe Cile

Vengono desecretati gli atti segreti in possesso dagli Usa sul golpe dell’11 settembre 1973 in Cile. Emerge quel che già si sospettava; l’amministrazione Nixon favorì il colpo di stato che mise fine al governo del socialista Allende.

L’Nsa ha reso pubbliche le trascrizioni di colloqui e appunti che illustrano la strategia messa in atto dagli Stati Uniti per destabilizzare il leader socialista.

Adesso è ufficiale il ruolo perverso svolto dagli Stati Uniti nel golpe di Pinochet in Cile e ormai non sono illazioni o ipotesi. Si tratta di tesi assai probabili sostenute da una certezza e, cioè, che il presidente Nixon diede un sostegno concreto e fattivo per ben 17 anni alla più
 feroce dittatura militare del secolo scorso.

Infatti è tutto riportato in migliaia di documenti, trascrizioni, appunti, brogliacci, indicazioni, suggerimenti che fanno parte del file “Politica sul Cile”.

Cinquant’anni dopo l’elezione a presidente di Salvador Allende che avvenne il 5 novembre 1970, la Nsa, che è la principale di tutte le agenzie di intelligence statunitensi, ha deciso di desecretare questa mole di documenti e li ha messi a disposizione del pubblico.

Si mise in opera una raffinata strategia che evitò di esporre gli Usa a una condanna internazionale per un’interferenza o intervento considerato gravissimo, Allende era stato eletto in una libera e democratica elezione. Nonostante tutto ciò, per l’amministrazione americana si trattava del primo governo marxista in America Latina e doveva essere abbattuto anche con il golpe.

Ecco quindi la testimonianza diretta di un intervento che venne portato avanti con una scelta politica e strategica che consentì il successo di Augusto Pinochet. Iniziativa atta a logorare Salvatore Allende che aveva osato rompere il controllo Usa sull’America Latina, credendo di poter realizzare un progetto politico nuovo e diverso.

Si iniziò a fare pressioni sulle principali multinazionali affinché abbandonassero il Cile, facendo crollare il prezzo del rame, tra i principali prodotti che il Cile esportava, logorando la popolazione che si impoveriva e veniva gettata verso una condizione di povertà.

Fu l’azione, soprattutto, di Henry Kissinger, che all’epoca dal 1969-1974 svolse il ruolo di segretario alla Sicurezza nazionale, a dettare al presidente Richard Nixon una linea d’intervento diretta, che, peraltro, non era molto condivisa dagli altri consiglieri della Casa Bianca che erano favorevoli invece a quella che fu chiamata la “Strategia del modus vivendi”.

Tale ultima strategia consisteva nell’appoggiare i partiti dell’opposizione cilena, di centro e di destra, prima delle elezioni che si sarebbero tenute nel 1976.

Dalle trascrizioni degli appunti sulle convulse riunioni che fecero seguito all’elezione di un governo socialista in Cile, si evidenziano con chiarezza le numerose manovre di Kissinger per parlare da solo con Nixon prima di riunire l’intero Consiglio della sicurezza nazionale.

Infatti il segretario riuscì a far spostare la riunione convocata alla Casa Bianca per il 5 novembre, posticipandola 24 ore dopo. In tal modo ebbe il tempo per incontrare di persona il presidente e aggiornarlo sulla situazione in Cile, dissuadendolo infine ad intervenire con azioni “meno ortodosse”.

Infatti Nixon doveva decidere, e per Kissinger ‘decidere bene’ significava non accettare una linea morbida e prudente degli altri consiglieri. Il funzionario che annunciava lo spostamento della riunione riportò che Kissinger avrebbe detto: “Il Cile finirà per essere il peggior disastro della nostra Amministrazione: sarà la nostra Cuba del 1972”.

In tal modo mise in guardia tutti dal pericolo che costituiva il governo Allende e che, quindi, a quel punto bisognava solo superare le titubanze e le obiezioni degli altri componenti del Consiglio di sicurezza con gli inviti a non esporsi con interferenze 
che sarebbero state condannate a livello mondiale.

Gli restava solo da convincere Nixon e l’incontro decisivo avviene nello Studio Ovale. Per un’ora Kissinger presentò lo studio dettagliato che suggeriva una linea dura e aggressiva di lunga durata nei confronti del governo Allende.

“Nell’arco di sei mesi-un anno – avvertiva Kissinger – gli effetti di questa svolta marxista andranno oltre le relazioni tra Usa e Cile”. Si paventò il pericolo dell’incubo comunista e all’influenza dell’intero continente della via cilena al socialismo. “Uno degli esempi più vistosi”, continuava il principale consigliere della Casa Bianca, “è l’impatto che avrà in altre parti del mondo, specialmente in Italia. La propagazione emulativa di fenomeni simili in altri luoghi a sua volta colpirà in modo significativo l’equilibrio mondiale e la nostra stessa sfera di influenza”.

Alla fine Nixon si convinse e si sapeva che, un anno prima, era stato già chiesto alla Cia di attivarsi per mettere a punto segretamente un golpe preventivo per evitare che Allende
 giungesse alla guida del Cile.

Il Consiglio di sicurezza si riunì il 6 novembre ed emersero subito posizioni diverse. Il segretario di Stato William Rogers si oppose ad azioni aggressive e affermò: “Possiamo debilitarlo, in caso, senza essere controproducenti”.

Il segretario alla Difesa, Melvin Laird, suggerì un’azione più decisa: “Dobbiamo fare di tutto per danneggiarlo e poi farlo crollare”.

Il direttore della Cia, Richard Helms, si dichiarò a favore di quest’ultima posizione. Si mostra anche un documento in cui si evidenziava che Allende ha vinto per pochi voti in più e che il suo governo è composto da “militanti della linea dura”, che mostrava “la determinazione dei socialisti di affermare la loro politica più radicale sin dal principio”.

Alla fine tutti attendono in silenzio l’intervento di Nixon. Allora il Presidente ruppe gli indugi . “Se c’è un modo di rovesciare Allende, è meglio farlo”, ordinò perentorio .Questa è la frase riportata nei documenti che oggi sono declassificati. Si sa come si agì e come andarono le cose. Prima il lento logorio economico, il Paese paralizzato dagli scioperi, poi le minacce continue, infine l’azione condotta dai militari guidati proprio da chi aveva avuto la fiducia di Allende.

Augusto Pinochet si mise alla testa del golpe senza scrupoli. Era l’uomo prescelto per attuare il piano con i carri armati per le vie di Santiago, il bombardamento della Moneda, le fiamme, il presidente che ha resistito con l’elmetto in testa e il fucile automatico.

La sua morte drammatica e l’inizio delle retate, gli stadi riempiti con migliaia di simpatizzanti, le sparizioni, le torture, le fucilazioni di massa. Questo truce e orrendo regime dittatoriale rimase sino al 1990. Una pagina buia e atroce della storia oggi trova una spiegazione ufficiale da chi operò per rovesciare un governo democratico.



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FONTANA E GALLERA SONO 2 INCOMPETENTI

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Smascheriamo la Bestia di Matteo Salvini

Smascheriamo la Bestia di Matteo Salvini


Diffonde una falsità dopo l'altra
Si chiama Smask.online, ed è un progetto creato da un gruppo di volontari per "smontare" la propaganda digitale del leghista. Svelandone menzogne, meccanismi e parole chiave

DI MAURO MUNAFÒ


Matteo Salvini ha quattro milioni di fan su Facebook, oltre due milioni su Instagram. E un numero di interazioni con i contenuti pubblicati che nessun politico può neanche lontanamente eguagliare: 16 milioni tra like, commenti e click nell'ultimo mese solo su Facebook, quasi 10 milioni su Instagram. Le sue pagine ufficiali sui social network sono lo strumento di propaganda più potente che l'ex ministro dell'Interno ha a disposizione: una macchina del consenso a cui lavorano decine di suoi collaboratori (guidati da Luca Morisi) e chiamata in gergo "La Bestia".

Una macchina ben oliata che per accumulare like e diffondere il suo verbo martella su immigrazione, sovranismo, complotti e tutto ciò che può essere utile per aumentare il consenso intorno a Salvini. Ma anche contro questo Golia, non mancano i Davide che provano a resistere alla sua potenza. E a proporre qualcosa per togliergli forza.

A provare a smontare la Bestia post dopo post, ci prova una nuova iniziativa dal basso, realizzata da volontari senza supporti politici. Si chiama Smask.online e ogni giorno cerca di rispondere ai post di Salvini proponendo una contro-narrazione argomentata con fonti e contesti.

«Abbiamo deciso di lanciare la nostra piattaforma per fare un'operazione di pedagogia digitale. È importante fare comprendere che dietro "Salvini", che è solo il simbolo di un metodo, c'è un progetto professionale che utilizza un lessico studiato per ottenere successo» spiega all'Espresso uno dei promotori della piattaforma (che preferiscono firmarsi come Smask, senza usare i propri nomi).

«Ci abbiamo messo quasi un anno per ricostruire il lessico della Bestia. Perché il nostro bersaglio non è Salvini: è solo un personaggio che recita un copione». Un copione fatto di 150 parole chiave riunite in dieci grandi filoni tematici: l'ossessione per l'immigrazione, il sovranismo, l'epica del "capitano", i complotti e bufale. L'immagine usata da Smask per identificare la Bestia è quella di una piovra i cui tentacoli sono appunto questi temi al centro della sua propaganda costante.


Per capire come funziona Smask basta andare sul sito o sui canali social di questo progetto partito da poco. I volontari prendono un post recente delle pagine di Salvini e lo "smontano": smentiscono le falsità affermate, pongono le dichiarazioni all'interno di un contesto, forniscono fonti e dati precisi, svelano cosa non torna nelle frasi o nelle foto di Salvini. Un lavoro che utilizza anche gli strumenti del fact-checking, ma che punta non solo allo "sbufalamento", quanto alla spiegazione delle dinamiche e dei tic comunicativi della Bestia. Ad esempio si prende il post con cui Salvini cita papa Giovanni Paolo II e si mette a confronto con le parole del pontefice sull'accoglienza ai migranti , oppure si sottolinea l'ossessione per il tema dell'immigrazione, usato in combinazione con la pandemia al solo scopo di fomentare i fan sui social ma senza che i due fenomeni abbiano alcun collegamento reale .

«La Bestia propone una narrativa e, per contrastarla, serve una contro-narrativa. Per questo ogni giorno proponiamo dei contro-post argomentati, con fonti, in risposta alla propaganda di Salvini. Il nostro obiettivo è quello di inoculare in Rete delle risposte giorno per giorno, post dopo post», spiegano i promotori di Smask.online. A comporre la squadra sono circa cinquanta persone che comprendono ricercatori di mercato, economisti, giovani che si occupano di comunicazione digitale, docenti, designer, studenti e ingegneri. Residenti in ogni parte d'Italia e anche all'estero. Il progetto non è finanziato e non accetta fondi da partiti o personaggi politici.

«Vogliamo costruire una comunità capace di contrastare sul terreno digitale operazioni come quelle della Bestia che, ne siamo certi, saranno ancora preponderanti nelle prossime elezioni politiche in Italia. Sappiamo che rischiamo in realtà di dare ancora più risalto alla comunicazione di Salvini ed è un problema che ci siamo posti da subito. Ci siamo dati come obiettivo quello di parlare a coloro che sottovalutano questa comunicazione e non la prendono sul serio e anche a quell'area di mezzo di persone che colgono il fatto di essere state utilizzate da questa comunicazione». 
E vogliono ribellarsi alla Bestia.




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venerdì 20 novembre 2020

Ruberie della Lega nella Sanità Lombarda

Ruberie della Lega nella Sanità Lombarda


Chiusa l’inchiesta sugli scandali negli ospedali della regione. 
Ecco le ammissioni dei fedelissimi che imbarazzano Maroni, 
non indagato ma sotto assedio, che mettono
 in luce un vero e proprio sistema criminale

Lega corrotta, sanità infetta. La Procura di Monza ha chiuso in appena quattro mesi l’inchiesta sulle ruberie padane negli ospedali della Lombardia. Mentre Roberto Maroni rimane aggrappato alla poltrona di governatore di una regione che non è mai stata così rossa, con dodici città su dodici passate dal centrodestra al centrosinistra, compresa la natia Varese dove la Lega fu fondata, i suoi fedelissimi abbandonano la politica e si arrendono alla giustizia.

Tra gli arrestati nella retata per corruzione del 16 febbraio scorso, ora l’unico slogan è limitare i danni: tutti i principali imputati hanno chiesto il patteggiamento. A cominciare dal medico-politico varesotto Fabio Rizzi, che prima di entrare in carcere era il braccio destro di Maroni: il regista di una riforma della sanità che lo stesso governatore ha dovuto controriformare di corsa, dopo l’ennesimo scandalo. Che questa volta non si può liquidare con la storiella delle presunte mele marce in un mercato sano: le nuove accuse dei pm brianzoli e le ammissioni degli stessi indagati (finora inedite) fotografano il fallimento del cosiddetto modello di sanità lombarda. Al di là dei reati specifici, di per sé gravi, l’esito dell’inchiesta dimostra che la decantata alleanza pubblico-privato, inventata dai big ciellini nell’era Formigoni e riciclata dalla Lega, è una favola che illude i malati, imbavaglia i medici, impoverisce la sanità di tutti e arricchisce le aziende di pochi.

Sono le sei di pomeriggio del 4 marzo 2016 quando Fabio Rizzi, 50 anni, ex anestesista, già senatore e poi consigliere regionale della Lega, firma la capitolazione dopo una giornata d’interrogatorio: «La fattura che mi mostrate è quella pagata dall’imprenditrice Canegrati per supportare la mia campagna elettorale... perché mi ha individuato come un paladino dell’odontoiatria». Maria Paola Canegrati è la grande corruttrice: una manager di ferro che in pochi anni è diventata la regina lombarda dell’odontoiatria. Con quella tangente di 20 mila euro è lei che ha pagato sottobanco «i gadget elettorali del 2013 con il logo della Lega Nord». Quindi il pm Manuela Massenz chiede al politico se veniva dalla stessa imprenditrice anche il pacco di banconote sequestratogli dai carabinieri quando lo hanno arrestato. Rizzi risponde così: «Il capo del mio staff, Mario Longo, mi ha dato 20 mila euro in contanti, diecimila alla volta: sono i soldi che avete trovato in cassaforte, tranne cinquemila euro che ho speso. Ma io non gli ho chiesto da dove provenissero... Ero totalmente inconsapevole che la Canegrati versasse soldi a Longo, in parte oggettivamente arrivati a me».

Questa tesi del politico comprato a sua insaputa non convince nessun giudice di Monza, anche per un problema ben documentato: Rizzi e Longo risultano addirittura soci occulti dell’imprenditrice Canegrati, in due aziende sanitarie chiamate Spectre e Sytcenter, con quote intestate alle loro conviventi. E così, oltre agli utili, dal 2013 al 2015 hanno intascato pure consulenze di comodo, sempre dietro lo schermo delle compagne: «almeno 63 mila euro» per Rizzi, altri 147 mila per Longo. Visti gli atti, l’ex capo della commissione sanità non nega di aver preso anche quei soldi. Però sostiene che, in cambio, non avrebbe usato il suo potere pubblico per favorire la manager che lo pagava: «Fu Longo a propormi di entrare in società con la Canegrati... Ma erano progetti privati. Da portare avanti solo nelle cliniche italiane o all’estero». Insomma, soldi sì, ma senza vere corruzioni né conflitti d’interessi. Il problema è che il leghista arrestato non conosce le ammissioni degli altri, 
anch’esse parziali, ma diverse.

Il primo a metterlo in crisi è proprio il suo segretario politico Mario Longo, 51 anni, ex odontoiatra, già socio di Rizzi nella Lorimed (altra impresa privata, che ha nel nome le iniziali dei due leghisti). L’otto marzo l’uomo che si autodefinisce «il factotum di Rizzi» mette a verbale un bel pasticcio di conflitti tra ruoli pubblici, aziende private e conviventi-prestanome. «Io e la Canegrati eravamo già soci nella Sytcenter», dichiara Longo: «Nel 2013 o 2014 l’ho incontrata all’ospedale pubblico Icp, dove io lavoravo per la Lega e lei aveva già cinque centri odontoiatrici. In quel momento avevo gravi difficoltà economiche. Quindi convenimmo che la mia convivente collaborasse con la Canegrati... Pur essendo socio di fatto, ho ritenuto inopportuno figurare in quelle società commerciali, visto il mio ruolo politico in Regione». Longo aggiunge che «probabilmente» anche Rizzi ha intestato la sua quota alla convivente «perché riteneva inopportuno politicamente figurare nella società».

I verbali dei leghisti mostrano che i proclami per la chiusura delle frontiere valgono per gli esseri umani, ma non per i soldi: Rizzi ammette di avere una società-cassaforte in Lussemburgo, mentre Longo giustifica con «consulenze per progetti in Cina» altri 50 mila euro, sborsati dalla solita Canegrati grazie a due fatture false emesse da un loro complice, Stefano Lorusso, arrestato a Miami.

A demolire l’alibi cinese è però la stessa Canegrati, il 21 aprile: «Ho sempre detto a Longo che il suo progetto in Cina non mi interessava... Lui mi mandò una lettera di Rizzi che lo incaricava di essere portavoce della Regione Lombardia per la sanità all’estero... Gli dissi chiaramente che consideravo quei viaggi una perdita di tempo». Il vero motivo dei pagamenti, per l’imprenditrice, è ovvio: «Ho finanziato la campagna elettorale di Rizzi, su richiesta di Longo, perché uno dei punti del suo programma era promuovere l’odontoiatria». Semplice impiegata fino a dieci anni fa, Canegrati ha creato dal nulla, con vari appoggi politici, prima nel Pdl e poi nel Carroccio, il primo gruppo odontoiatrico lombardo: una dozzina di società che ha in parte venduto nel 2015 per 13,5 milioni, premurandosi di girare altri 50 mila euro ai due leghisti «grazie ai cui favori aveva potuto incrementato il valore delle sue aziende».

Tutti questi incroci pericolosi di tante mezze confessioni hanno convinto perfino l’avvocato berlusconiano Michele Saponara, difensore di Rizzi, a trattare la resa. E alla fine Maria Paola Canegrati ha chiesto di patteggiare una condanna a quattro anni e due mesi, con risarcimento immediato di 300 mila euro; Rizzi, dopo essersi dimesso, ha concordato due anni e mezzo rimborsando 71.500 euro; Longo ne restituirà altri 182 mila per farsi infliggere due anni e otto mesi. E il conto finale dei danni lo farà la Corte dei conti, che ha già chiesto agli indagati altri quattro milioni.

Maroni non è coinvolto nell’inchiesta, ma è politicamente assediato dalle rivelazioni sull’«associazione per delinquere» creata dai suoi luogotenenti con decine di corruzioni, appalti truccati, soldi e regali ai direttori leghisti degli ospedali, poltrone d’oro per amici e parenti.

Per fermare lo scandalo, il governatore ha creato un’autorità lombarda anti-corruzione. Ma qui non si tratta di tangenti isolate: l’inchiesta investe il cuore del sistema che caratterizza la Lombardia. Da vent’anni i politici di Cl, Forza Italia e Lega raccontano ai cittadini che “il modello pubblico-privato” rende tutti felici: i pazienti trovano le cliniche private dentro gli ospedali, a prezzi controllati; le aziende si arricchiscono con questi “service”; e le strutture pubbliche partecipano agli utili.

Ora l’inchiesta di Monza ha messo a nudo il trucco: la spesa pubblica ha un limite. L’imprenditrice Canegrati non può curare i denti a troppi poveri, altrimenti fallisce; quindi deve tagliare le cure, gonfiare le liste d’attesa pubbliche e dirottare i pazienti nel privato a pagamento, 
come dimostrano le intercettazioni.

Ma il peggio è che con questo sistema l’ospedale diventa complice perfino delle truffe: se il pubblico è un socio che si divide gli utili, non ha nessun interesse a controllare il privato. Come prova la nuova accusa sui rimborsi gonfiati: i medici eseguono un impianto chirurgico, ma Canegrati se ne fa rimborsare due, in centinaia di casi. E quando arriva un controllo, i funzionari pubblici non solo preavvisano, ma aiutano i privati a falsificare le carte.

Un reato che la manager confessa così: «Confermo che quei tre funzionari ci hanno aiutato a sistemare le cartelle per il controllo: ovviamente l’interesse a far vedere tutto a posto era sia nostro sia dell’ospedale pubblico».




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Giovanardi Indagato per Favori alla N'drangheta

Carlo Giovanardi è una delle figure più squallide che da anni girano nei palazzi del potere a spese dei contribuenti.


Si era opposto alla proiezione del film sugli abusi della polizia in Val Susa,

Saltando agli onori delle cronache per le sue posizioni sui casi Cucchi e Aldrovandi, Carlo Giovanardi è una delle figure più squallide che da anni girano nei palazzi del potere a spese dei contribuenti. In Val di Susa ricordiamo bene lo scandalo montato contro "Archiviato" , un documentario per alcuni molto scomodo perché testimonia con prove inconfutabili l'inerzia della Procura di Torino di fronte agli abusi della polizia in Val Susa. Insieme ad altri colleghi, Giovanardi aveva cercato di impedire la proiezione del film in Senato perché, a suo avviso, "abituato a criminalizzare le forze dell'ordine".

Ci ha fatto sorridere nel vedere il suo nome comparire oggi per un processo immediato in cui dovrà rispondere per minacce agli organi politici, amministrativi e giudiziari, divulgazione di segreti e minacce ufficiali e insulti al pubblico ufficiale. L'ex senatore avrebbe fatto pressioni per la revoca del divieto antimafia su una società amica, Bianchini Costruzioni, interessata a contratti post-terremoto (già sospettati di miscele mafiose, i titolari di Bianchini finiranno pochi mesi nel bel mezzo del Indagine Aemilia sulle infiltrazioni della ndrangheta nella regione).





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Sanità della Lega solo per Ricchi


Sanità della Lega solo per Ricchi


Visite a domicilio del San Raffaele a 450 euro al tempo di Fontana.

La chiamata diagnosi online (forse con veggente al seguito?) € 90, poi c’è il kit completo su richiesta – altro che necessità – chiamato “diagnostica domiciliare” che comprende prelievo del sangue, radiografia toracica, misurazione della saturazione e addirittura referto finale a 450 euro a testa. Avercelo. E magari pieno.

E’ il listino prezzi del San Raffaele in tempo di Covid-19 e della magnifica sanità lombarda in tempi leghisti del munifico governatore Fontana con Gallera al seguito.
Parrebbe una barzelletta, e forse lo è, la cui battuta finale è “Chi non ha i soldi crepi”.

Più o meno dello stesso tenore la dichiarazione di Vittorio Agnoletto dalla sua pagina Facebook dove scrive: “Chi non può pagare può crepare, questa è la filosofia che domina nella nostra regione. Le Usca non funzionano? Nessun problema, ci pensano i privati”. Agnoletto è medico e responsabile dell’Osservatorio Coronavirus, oltre ad essere docente di Globalizzazione
 e politiche della salute alla Statale di Milano.

Eccolo finalmente sotto gli occhi di tutti, chiarissimo, il capolavoro leghista della Lombardia, la totale o quasi, privatizzazione della Sanità ormai totalmente a carico dei cittadini che se non hanno i soldi per curarsi, possono anche rischiare di schiattare. L’emergenza Coronavirus? In fondo chi se ne frega. Mentre la giunta regionale lombarda dei magnifici Fontana e Gallera sembra non essere in grado di uscire dalle sabbie mobili dei ritardi, delle castronerie, degli ordini mai evasi perché mai inoltrati, dei camici ai cognati ma anche no, dei commercialisti agli arresti, dei telefonini cellulari sequestrati, delle apparizioni televisive, dei rimpasti affinché tutto rimanga com’è, dei Caianiello che non si muove una foglia che il Mullah non voglia… Insomma: sommersi da tutto questo liquame come volete che trovino il tempo di governare e di trovare una soluzione all’assistenza sanitaria
 anche per chi non può permettersi il privato?

Il portavoce di Rete Italiana Antifascista, Luca Venneri, contattato dalla nostra redazione, afferma che “pagare 450 euro una visita è un insulto per tutti i lombardi. Da una parte, è la chiara dimostrazione che la politica sanitaria della regione è solo un business per alcuni, ma anche, dimostrazione della sempre maggiore perdita del carattere universalistico della sanità come prescritto in Costituzione. Trovo particolarmente deplorevole in termini morali che sulla tragedia ci siano persone che vogliono guadagnare a tutti i costi, non curandosi che la professione medica è prima di tutto una missione”.

Il consigliere comunale PD  Matteo Piloni sembra fare parte di un partito che vuole, finalmente, farsi sentire nel deserto circostante “Il pubblico arranca e il privato ingrassa” dice. Poi aggiunge: “Il privato risponde a una mancanza inaccettabile, ovvero alle carenze dell’assistenza domiciliare…”, rispetto alla quale, aggiungiamo noi, la Regione Lombardia sembra occupata a fare altro non pensando nemmeno lontanamente, o forse sì, ma molto da lontano,a dare il via a misure adeguate, al potenziamento della medicina territoriale. Quindi o paghi €450 euro per il servizio a domicilio – la chiameremo sanità-escort – oppure imputridisci al Pronto Soccorso. Come se non bastasse quello che di putrido già c’è.





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