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sabato 27 maggio 2017

Riunione Periodica MDD il 31-05-2017



Riunione Periodica MDD il 31-05-2017
INVITO RIVOLTO
a tutti :
Disoccupati, Cassintegrati,
Opzione Donna, Esodati, Precoci,
Giovani, Precari,
TENIAMOCI in CONTATTO
Divulgate il Gruppo ai Vostri Amici:
dalle ore 15.00
presso c.so Porta Vittoria 43
Camera del Lavoro di Milano
secondo piano Sala Fiom.
Ordine del giorno:
1) Resoconto Riunione ATDAL ,
2) Statuto Associazione ,
3) Evento 18 Giugno ,
4) Codice Comportamentale MDD.

.
Se sei disoccupato o se conosci dei disoccupati contattaci. 
Ci riuniamo periodicamente in Camera del Lavoro Milano 
- Corso di Porta Vittoria 43 - Sala Fiom 2° piano. 
Scrivici : 
  movdirdisoccupati(@)libero.it 



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mercoledì 24 maggio 2017

Reddito Minimo Garantito : quanto ci costa NON averlo?


Reddito minimo:
 il problema non è quanto costa, 
ma quanto costa non averlo!


  
Il reddito minimo garantito (Rmg) è una misura presente in molti Stati europei, volta a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti, così come l’Europa chiede fin dal 1992. Tanto per capirci anche il Portogallo e la Spagna hanno seguito la direttiva, mentre inadempiente è rimasta solo l’Italia .

La Grecia ha Previsto questa Riforma

http://cipiri00.blogspot.it/2017/01/reddito-minimo-in-grecia.html

Spesso il dibattito si focalizza sul “quanto ci costa?”. Il reddito minimo garantito costa più o meno quanto gli 80 euro. Pochi hanno cercato di capovolgere la domanda:
 “quanto ci è costato e ci costa non averlo?”.

La risposta la possiamo trovare nei dati sulla povertà e disoccupazione delle famiglie italiane, nelle statistiche che delineano un welfare incapace di ridurre il rischio di povertà attraverso i trasferimenti assistenziali, nelle politiche di contrasto alla povertà indirizzate solo a determinate categorie di soggetti, che spesso non versano in condizioni di povertà.

A causa di ciò c’è una fascia di ceto medio che scivola pericolosamente verso la soglia della povertà, mentre c’è un pezzo di paese che continua a cavarsela piuttosto bene. Tristemente ci sono sempre più giovani tra chi si impoverisce e sempre più anziani tra chi se la cava. Tradotto in cifre: la disoccupazione è al 12%, quella giovanile lambisce il 35% e sono 8 milioni gli italiani poveri e 4,5 milioni quelli in povertà assoluta.

Il reddito minimo garantito è fattibile, ma soprattutto urgente per tutto ciò a cui stiamo assistendo oggi: crisi dell’economia reale, impoverimento del lavoro, fragilità economico-sociale delle famiglie, lacune spaventose del sistema di welfare, disuguaglianze crescenti e redistribuzione inadeguata, fino alla crisi di consenso della politica e della democrazia. 
Ecco perché non possiamo più farne a meno.

Il reddito minimo renderebbe gli individui meno dipendenti e più liberi: più liberi anche dai 
condizionamenti prodotti dalle nostre élite autoreferenziali a caccia di clientele e collusioni.

Per Ora c'è Questo
http://cipiri5.blogspot.it/2017/04/reddito-di-inclusione.html


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lunedì 22 maggio 2017

Riunione Periodica MDD il 24-05-2017


Riunione Periodica MDD il 24-05-2017
INVITO RIVOLTO
a tutti :
Disoccupati, Cassintegrati,
Opzione Donna, Esodati, Precoci,
Giovani, Precari,
TENIAMOCI in CONTATTO
Divulgate il Gruppo ai Vostri Amici:
Riunione Periodica MDD 
il 24-05-2017
dalle ore 15.00
presso c.so Porta Vittoria 43
Camera del Lavoro di Milano
secondo piano Sala Fiom.
Ordine del giorno:
1) Preparazione Evento del 18 Giugno.
2) Statuto ed Associazione.
3) Resoconto/Video Intervento in Articolo 1 .
4) Codice Comportamentale MDD.

.
Se sei disoccupato o se conosci dei disoccupati contattaci. 
Ci riuniamo periodicamente in Camera del Lavoro Milano 
- Corso di Porta Vittoria 43 - Sala Fiom 2° piano. 
Scrivici : 
  movdirdisoccupati(@)libero.it 



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Italia Paese di Pensionati



Italia Paese con sette giovani su dieci ancora a casa con i genitori e con la classi sociali che 
'esplodono'. E' l'impietoso ritratto del Belpaese fatto dall'Istat nel Rapporto annuale.

L'Istat traccia una nuova mappa socio-economica dell'Italia, dividendo il Paese in nove gruppi in base al reddito, al titolo di studio, alla cittadinanza e non guardando così più solo alla professione, come nelle tradizionali classificazioni. 
I due sottoinsiemi più numerosi sono quelli delle 'famiglie di impiegati', 
appartenete alla fascia benestante (4,6 milioni di nuclei per un totale di 12,2 milioni di persone) e delle 'famiglie degli operai in pensione', fascia a reddito medio (5,8 milioni per un totale di oltre 10,5 milioni di persone). Per l'Istat il gruppo più svantaggiato economicamente è quello delle 'famiglie a basso reddito con stranieri' (1,8 milioni pari a 4,7 milioni di persone), seguono le 'famiglie a basso reddito di soli italiani' (1,9 milioni che comprendono 8,3 milioni di soggetti), le meno numerose 'famiglie tradizionali della provincia' e il gruppo che riunisce 'anziane sole e giovani disoccupati'. A reddito medio sono invece considerate oltre alle famiglie di operai in pensione, quelle di 'giovani blu collar' (2,9 milioni, pari a 6,2 milioni di persone). Nell'area dei benestanti, l'Istat inserisce oltre alle 'famiglie di impiegati', quelle etichettate 'pensioni d'argento' (2,4 milioni, per 5,2 milioni di persone). Il primo posto sul podio dei più ricchi spetta alla 'classe dirigente' 
(1,8 milioni di famiglie, pari a 4,6 milioni di persone).

Addio agli operai - La classe operaia e il ceto medio "sono sempre state le più radicate nella struttura 
produttiva del nostro Paese" ma "oggi la prima - osserva l'Istat - ha abbandonato il ruolo di spinta 
all'equità sociale mentre la seconda non è più alla guida del cambiamento e dell'evoluzione sociale". Si assiste quindi a una "perdita dell'identità di classe, legata alla precarizzazione ed alla frammentazione dei percorsi lavorativi". Per l'Istituto ci sono interi segmenti di popolazione che "non rientrano più nelle classiche partizioni: giovani con alto titolo di studio sono occupati in modo precario, stranieri di seconda generazione che non hanno il background culturale dei genitori, stranieri di prima generazione cui non viene riconosciuto il titolo di studio conseguito, una fetta sempre più grande di esclusi dal mondo del lavoro dovuta - sottolinea l'Istituto - anche al progressivo invecchiamento della popolazione". Ecco che nella nuova geografia dell'Istat "la classe operaia", che "ha perso il suo connotato univoco", si ritrova "per quasi la metà dei casi nel gruppo dei 'giovani blue-collar'", composto da molte coppie senza figli, e "per la restante quota nei due gruppi di famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri". Anche la piccola borghesia si distribuisce su più gruppi sociali, in particolare "tra le famiglie di impiegati, di operai 
in pensione e le famiglie tradizionali della provincia". Secondo l'Istituto "la classe media impiegatizia è invece ben rappresentabile nella società italiana, 
ricadendo per l'83,5% nelle 'famiglie di impiegati'".

L'Istat fa notare come nel gruppo leader dal punto di vista numerico, quello degli impiegati, il 
capofamiglia, la persona di riferimento, sia donna in quattro casi su dieci. La nuova mappa nasce 
dall'esigenza di tenere conto anche della popolazione non occupata, a differenza delle classiche 
tassonomie che prendono in considerazione solo i lavoratori, e soprattutto dalla necessità di ricalibrare le stratificazioni socio-economiche, viste le frammentazioni in atto. Oggi infatti, fa notare l'Istituto, la "classe operaia ha perso il suo connotato univoco" e
 "la piccola borghesia si distribuisce su più gruppi sociali.

Più disuguaglianze, classi sociali 'esplodono' - "La diseguaglianza sociale non è più solo la distanza tra le diverse classi, ma la composizione stessa delle classi". E' questa l'analisi contenuta nel Rapporto dell'Istat. Per l'Istat "la crescente complessità del mondo del lavoro attuale ha fatto aumentare le 
diversità non solo tra le professioni ma anche all'interno degli stessi ruoli professionali, acuendo le 
diseguaglianze tra classi sociali e all'interno di esse".

Giovani tanguy - Quasi sette giovani under35 su dieci vivono ancora nella famiglia di origine. L'Istituto spiega che nel 2016 i 15-34enni che stanno a casa dei genitori sono precisamente il 68,1% dei coetanei, corrispondenti a 8,6 milioni di individui.

Crescono le famiglie senza lavoro - In Italia nel 2016 si contano circa 3 milioni 590 mila famiglie senza redditi da lavoro, ovvero dove non ci sono occupati o pensionati da lavoro. Si tratta del 13,9% del totale, con la percentuale più alta che si registra nel Mezzogiorno (22,2%) Si tratta di tutti nuclei 'jobless' dove si va avanti grazie a rendite diverse, affitti o aiuti sociali. Nel 2008 queste famiglie erano 3 milioni 172 mila, il 13,2% del totale.

Non è un Paese per giovani - L'Italia è un Paese sempre più vecchio: al 1 gennaio 2017 la quota di 
individui di 65 anni e più ha raggiunto il 22%, collocando il nostro Paese al livello più alto nell'Unione Europea e "tra quelli a più elevato invecchiamento al mondo". Con questo dato l'Italia supera anche la Germania che per anni si è collocata ai vertici della classifica europea per quota di over-65 sulla popolazione complessiva. Sono in 13,5 milioni gli italiani che hanno più di 65 anni; gli ultraottantenni sono 4,1 milioni.

Quanto pesa il carrello della spesa - La spesa per consumi delle famiglie ricche, della 'classe dirigente', è più che doppia rispetto a quella dei nuclei all'ultimo gradino della piramide disegnata dall'Istat, ovvero 'le famiglie a basso reddito con stranieri'. 
L'Istituto per le prime rileva esborsi mensili pari a 3.810 euro, 
contro i 1.697 delle fascia più svantaggiata economicamente. Una capacità di spesa ridotta significa 
anche meno opportunità. "Malgrado una maggiore partecipazione al sistema di istruzione delle nuove generazioni dei gruppi svantaggiati rispetto a quelle più anziane, le differenze sono ancora significative", fa notare l'Istat. Ecco che "i giovani con professioni qualificate sono il 7,4% nelle famiglie a basso reddito con stranieri e il 63,1% nella classe dirigente". Le fratture che caratterizzano il Paese vengono confermate: "persiste il dualismo territoriale: nel Mezzogiorno sono più presenti gruppi sociali con profili meno agiati". D'altra parte, spiega il Rapporto, "la capacità redistributiva dell'intervento pubblico è in Italia tra le più basse in Europa".

Gli stranieri - Sono 5 milioni gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2017, e prevalentemente vivono al Centro-nord. La collettività rumena è di gran lunga la più numerosa (quasi il 23% degli stranieri in Italia); seguono i cittadini albanesi (9,3%) e quelli marocchini (8,7%). Nel 2016 l'incremento degli stranieri residenti è stato però molto modesto, 2.500 in più rispetto all'anno precedente: ciò - spiega l'istituto di statistica - si deve soprattutto all'aumento delle acquisizioni di cittadinanza (178mila nel 2015). Di queste, quasi il 20% ha riguardato albanesi e oltre il 18% marocchini. I permessi per asilo e motivi umanitari attualmente rappresentano quasi il 10% dei permessi con scadenza (esclusi quindi quelli di lungo periodo), il doppio rispetto al 2013.

Lavori di casa - Le casalinghe "con il loro lavoro producono beni e servizi per 49 ore a settimana". 
Guardando agli occupati, ovvero a quanti svolgono sia il lavoro retribuito che familiare, le donne 
superano le 57 ore mentre gli uomini le 51. 
Tra casa e lavoro è quindi evidente il carico in più per le donne.


 L'Istat traccia una nuova mappa socio-economica dell'Italia, dividendo il Paese in nove gruppi in base al reddito, al titolo di studio, alla cittadinanza e non guardando così più solo alla professione, come nelle tradizionali classificazioni. I due sottoinsiemi più numerosi sono quelli delle 'famiglie di impiegati', appartenete alla fascia benestante (4,6 milioni di nuclei per un totale di 12,2 milioni di persone) e delle 'famiglie degli operai in pensione', fascia a reddito medio (5,8 milioni per un totale di oltre 10,5 milioni di persone). Per l'Istat il gruppo più svantaggiato economicamente è quello delle 'famiglie a basso reddito con stranieri' (1,8 milioni pari a 4,7 milioni di persone), seguono le 'famiglie a basso reddito di soli italiani' (1,9 milioni che comprendono 8,3 milioni di soggetti), le meno numerose 'famiglie tradizionali della provincia' e il gruppo che riunisce 'anziane sole e giovani disoccupati'. A reddito medio sono invece considerate oltre alle famiglie di operai in pensione, quelle di 'giovani blu collar' (2,9 milioni, pari a 6,2 milioni di persone). Nell'area dei benestanti, l'Istat inserisce oltre alle 'famiglie di impiegati', quelle etichettate 'pensioni d'argento' (2,4 milioni, per 5,2 milioni di persone). Il primo posto sul podio dei più ricchi spetta alla 'classe dirigente' (1,8 milioni di famiglie, pari a 4,6 milioni di persone). L'Istat fa notare come nel gruppo leader dal punto di vista numerico, quello degli impiegati, il capofamiglia, 
la persona di riferimento, sia donna in quattro casi su dieci. 

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Italia : 26 miliardi di bollette non pagate



L’eredità della crisi: in Italia 26 miliardi di bollette non pagate.

Bollette di vecchia data non pagate, crediti al consumo, rate di mutuo non ancora onorate. Sono quelli che in gergo gli addetti ai lavori chiamano “Non Performing Loans”: capitali che le famiglie italiane; ma anche le piccole e medie imprese ; faticano a pagare e che gli enti creditori hanno affidato alle agenzie specializzate nel recupero crediti.

Oggi, nel limbo dei crediti deteriorati fluttuano – secondo la recente stima di Unirec, l’Unione nazionale a tutela del credito – 26 miliardi che riguardano proprio bollette ‘dimenticate’, rate di mutui e piccoli finanziamenti.

Secondo quanto emerge dalla ricerca annuale, la ‘zavorra’ dei NPL ha rappresentato nel 2016 il 38% 
degli importi complessivi da riscuotere e il 14% del numero totale delle pratiche gestite dalle società di recupero associate a Unirec (circa l’80% dell’intero mercato), sulle cui scrivanie sono accumulati quasi 36 milioni di fascicoli. In media, una pratica ogni due persone.

I debitori, per quanto riguarda i NPL, sono per il 91% famiglie e per il 9% piccole o medie imprese. Si tratta prevalentemente di bollette e utilities per telefonia, luce e gas: a ‘dimenticarle’ sono soprattutto i clienti cessati (74%), che hanno cambiato operatore e che devono saldare, in media, 830 euro ciascuno. Il 26% degli importi da recuperare riguarda invece clienti ancora attivi, che devono in media 277 euro a testa. Per i primi, il recupero è più difficoltoso e il tasso di successo non supera il 17%, contro il 28% dei secondi.

L’importo medio da rintracciare ammonta invece a 2 mila euro se si considerano anche i debiti che 
derivano da finanziamenti e prestiti bancari (importo medio di questi ultimi è di 2400 euro, nel 2016 metà di queste pratiche sono andate a buon fine con un recupero del 16% dei capitali totali) e leasing (574 milioni di euro, il 47% dei quali è stato riscosso).

A preoccupare maggiormente sono le previsioni: nel 2017 il volume dei NPL sembra destinato a lievitare del 15%, con un aumento degli importi complessivi che dovrebbe oscillare tra l’8 e il 10%.

Dei 26 miliardi di euro accumulati nel 2016 e ancora da recuperare, soltanto 8,1 si prevede siano 
destinati a rientrare nelle tasche dei creditori, con performance di recupero che variano a seconda della tipologia del debito. Lavoro extra per le società di recupero crediti a Milano: la Lombardia, infatti, detiene il primato italiano – con il 14% – sia per numero pratiche che per importi

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mercoledì 10 maggio 2017

Riunione Periodica MDD il 15-05-2017


Riunione Periodica MDD il 15-05-2017
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1) Preparare Testo Predefinito per le Interviste.
2) Lettera per i Partiti.
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mercoledì 3 maggio 2017

Disoccupati Over 50 superano i Giovani


DISOCCUPAZIONE
gli over 50 superano gli under 24 
 I disoccupati anziani sono stati 567 mila nel marzo scorso
 contro i 524 mila giovani disoccupati .
 La disoccupazione giovanile resta un dramma, 
ma per gli anziani spesso significa uscire del tutto dal mercato del lavoro, 
con ancora carichi familiari.

I giovani disoccupati (tra i 15 e i 24 anni), pur aumentati di 30 mila unità nel marzo scorso, sono stati superati dai disoccupati anziani (con più di 50 anni) che sono cresciuti di 59 mila unità. Di fatto i disoccupati anziani sono stati 567 mila nel marzo scorso contro i 524 mila giovani disoccupati. Questa staffetta tra giovani e anziani non ha nulla di positivo. Per lungo tempo abbiamo sentito i lamenti perché in Italia la disoccupazione è soprattutto giovanile, 
ma ora scopriamo che colpisce anche gli anziani. 

Se per i giovani la disoccupazione significa spostare in avanti l'età d'ingresso al lavoro, per gli anziani spesso significa uscire del tutto dal mercato del lavoro con ancora carichi familiari e credo che quest'ultima sia una prospettiva ben meno positiva. In Italia si perde troppo tempo a parlare di questa o quella disoccupazione e si fa poco per dare a tutti, giovani ed anziani, strumenti di formazione e di sostegno al reddito per reinserirli.

Jobs Act, i disoccupati over 50 superano gli under 24
Istat. Precarietà in Italia. Boom dei senza lavoro ultracinquantenni. A marzo aumentano gli occupati tra i giovani. Il mercato del lavoro ristagna. Governo (Poletti) e Pd (Renzi) celebrano per l'aumento dell'occupazione giovanile. Cgil: «Gli scostamenti decimali non incidono sulla stagnazione del mercato». Continua il crollo delle partite Iva e la crisi tra i lavoratori 35-49enni

A marzo i disoccupati con più di 50 anni hanno superato il numero dei disoccupati giovani tra i 15 e i 24 anni. In questo mese i primi erano 567 mila a fronte dei 524 mila tra chi ha meno di 25 anni. Tra febbraio e marzo 2017 i disoccupati «anziani» sono aumentati di 59 mila unità, 103 mila in più rispetto a marzo 2016. Ciò ha portato il tasso di disoccupazione ad aumentare al 6,7%, il livello più alto da novembre 2014 in questa fascia di età. Per l’Istat è la prima volta che accade dall’inizio delle serie storiche mensili (2004). Nelle classifiche del lavoro precarizzato e povero in Italia, questo storico sorpasso sembra essere dovuto principalmente alla fine della mobilità e alla riduzione temporale degli ammortizzatori sociali decisi dal Jobs Act.

IL BOOM DELLA DISOCCUPAZIONE tra gli over 50 non ha modificato il trend del mercato del lavoro emerso con il Jobs Act. L’Istat conferma che, su base annua, l’aumento dell’occupazione ha interessato questa categoria di età sulla quale si sono concentrate le trasformazioni dei vecchi contratti a orario ridotto (cig o part-time) in contratti «stabili» da dipendenti. Rispetto al marzo dello scorso anno, la crescita degli occupati è stata registrata in questa tipologia contrattuale pari a 310 mila unità. Di questi 267 mila sono over 50. Dunque, la stragrande maggioranza, anche se l’occupazione cresce anche nelle altre fasce d’età.

LA TIPOLOGIA DI LAVORO dipendente a tempo pieno va distinta da quella a termine. Sull’anno la prima cresce di 143 mila unità. I precari sono invece 167 mila. La differenza tenderà ad aumentare in vista dell’avvio della stagione estiva quando il precariato stagionale gonfierà le statistiche confermando il primato dei lavori a termine nell’occupazione italiana.

QUESTI DATI VANNO INSERITI nel contesto di un mercato del lavoro asimmetrico dove l’occupazione giovanile aumenta tra i 15-34enni (44 mila unità) e il tasso di disoccupazione diminuisce al 34,1%, con un calo di 0,4 punti. Su questo exploit possono avere pesato i bonus per «garanzia giovani» che finanzia tirocini per gli under 29. Nei sette Paesi analizzati dalla Corte dei conti europea in un recente rapporto l’80% dei giovani «riattivati» sul mercato del lavoro precario ha trovato una qualche forma di occupazione: 90% in Francia, 86% in Croazia. L’Italia è ferma al 31%, meno della metà dell’Irlanda, penultima con il 64%. Il tirocinio, una forma di occupazione calcolata dalle statistiche, porta a un lavoro in 3 casi su 10. Il calo della disoccupazione giovanile registrato a marzo può dunque rivelarsi effimero. 
In ogni caso va parametrato con la media europea che è inferiore al 20%.

IL MERCATO DEL LAVORO è stagnante. Lo confermano tre dati: la disoccupazione generale che sale all’11,7% (+41 mila disoccupati in un mese); la diminuzione degli inattivi (-34 mila), ovvero dei disoccupati che non cercano lavoro; il tasso di occupazione fermo al 57,6%. Dopo la Grecia è il peggiore in Europa. Questo significa che non si crea nuova occupazione, quella che esiste è generata dalla trasformazione di vecchi contratti o da lavoro precario e precarissimo. Gli inattivi che hanno detto all’Istat di avere cercato lavoro almeno una volta nelle ultime settimane prima della rilevazione statistica sono risultati disoccupati (da qui l’aumento del tasso relativo), ma non l’hanno trovato. Un mercato del lavoro è fermo quando non c’è un travaso dal bacino 
dei disoccupati a quello degli occupati.

I PIÙ DANNEGGIATI DALLA CRISI sono due categorie fondamentali della forza lavoro contemporanea: la fascia di età tra i 35 e i 49 anni, considerata la più «produttiva» e il lavoro autonomo e indipendente che continua la sua silenziosa e apparentemente irreversibile caduta: a marzo le partite Iva sono calate di 70 mila unità. Questo è uno dei risultati del Jobs Act: uno dei suoi assi principali è stata la «risubordinazione» del lavoro attraverso il contratto a tutele crescenti dove a crescere è solo la libertà di licenziare da parte del datore di lavoro.

LE PRIME AVVISAGLIE sono arrivate dall’osservatorio sul precariato dell’Inps: nei primi due mesi del 2017 i licenziamenti disciplinari nelle aziende con più di 15 dipendenti sono aumentati del 30 per cento. Con il taglio degli sgravi, i contratti a tempo indeterminato sono calati del 12%. È uno degli effetti dell’abolizione dell’articolo 18, un altro pilastro del Jobs Act. I bonus renziani, tra l’altro in calo verso lo zero nel 2018, non hanno scosso questo stagno. A marzo l’occupazione è scesa di 7 mila unità, anche se il nucleo degli assunti con 11 miliardi di soldi pubblici resiste ancora.

LE REAZIONI DEL GOVERNO (Poletti) e del Pd (Renzi) si sono concentrate sul calo della disoccupazione giovanile dal 44 al 34% in due anni. Sono i postumi della stagione renziana e l’aumento di una frazione dell’occupazione vale un brindisi. «Gli scostamenti decimali non incidono sulla stagnazione del mercato» ha commentato Tania Scacchetti (Cgil). «Quando finirà l’effetto della decontribuzione, la disoccupazione aumenterà ancora di più» aggiunge Giulio Marcon (Sinistra Italiana). « Il lavoro si crea con gli investimenti, che il Governo Renzi ha tagliato per finanziare incentivi temporanei e bonus a pioggia» sostiene Nunzia Catalfo (M5S).
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