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lunedì 13 settembre 2021

Kabul non é l'Afghanistan

Kabul non é l'Afghanistan


E' solo una città dell'Afghanistan.
La Capitale, la più importante certamente, ma é solo una piccola, piccolissima parte, del Paese.
Questa ovvia considerazione serve a stabilire che le drammatiche scene della 
fuga, le interviste e le notizie che provengono da quel Paese, riguardano la Città 
ed i suoi abitanti.
Nessuno si chiede cosa succede nel resto del Paese.
A parte la "resistenza" di Massoud, confinata tra le montagne a nord est, nessuna 
notizia arriva dalle altre parti.
Bisogna farsi una domanda :
Come mai i talebani son riusciti ad occupare TUTTO l'Afghanistan in cosi' poco tempo ?
Evidentemente con l'aiuto del Popolo afghano, quello che vive fuori da Kabul.
Certamente con l'aiuto delle tribù locali che hanno dato man forte alle bande talebane.
In conclusione, i 30mila di Kabul, assiepati all'aereoporto sono solo una picccola 
parte dei circa 40 milioni di afghani presenti sul territorio.
Sbagliato quindi affermare che gli afghani stanno scappando dal loro Paese.
E' un modo del tutto scorretto di presentare le cose.
Ma i media ci hanno abituato anche al peggio di questo.
Nel clamore delle notizie, suscita comunque sorpresa il silenzio cinese.
Ma chi segue con un po' d'attenzione la politica estera di Pechino, sa che questo 
silenzio é tipico del Governo che, da sempre, bada più al sodo che alle chiacchere.
Come mai i Cinesi si mostrano cosi' disponibili verso i talebani
 pur non avendo nemmeno un briciolo di cose in comune ?
Perché i talebani rappresentano l'oggi, l'Afghanistan il sempre.
E cosi' come hanno fatto col precedente Governo, mirano a firmare contratti 
pluriennali per lo sfruttamento del territorio.
Chi lo comanda, ai Cinesi non importa.
Oggi la Cina estrae 350mila tonnellate di rame dall'Afghanistan.  le riserve di Mes 
Aynak, tra le più grandi al mondo, potrebbero contenere sino a 5,5 milioni di 
tonnellate di rame di alta qualità e grazie ad un contratto trentennale, 
sono di "proprietà cinese"
Vorrei fare un passo indietro, scusandomi con voi per la "lunghezza del post, ma 
mi serve per spiegare meglio questo interesse cinese.
L'Afghanistan possiede giacimenti di rame pari a circa 60 milioni di tonnellate, 3 
miliardi di tonnellate di ferro, ma soprattutto, 
circa 2 miliardi di tonnellate di Terre Rare.
Cosa sono ?
Sono tutti quei metalli che oggi, ma soprattutto domani, serviranno per "guidare" la tecnologia.
Sono Gallio, Germanio, Antimonio, Niobio, Silicio metallico, Tantalo, Tungsteno, ecc. 
Comprendono, inoltre, i metalli del gruppo del platino (Rutenio, Rodio, Palladio, 
Osmio, Iridio e Platino) e un ulteriore gruppo di 17 elementi, le Terre rare per 
l’appunto, con particolari proprietà magnetiche, che li rendono idonei per la gran 
parte delle tecnologie verdi., in particolare,  il Lantanio, il Cerio, il Praseodimio, il 
Neodimio, il Promezio, il Samario, l’Europio, il Gadolino, il Terbio, il Disprosio, 
l’Olmio, l’Erbio, il Tulio, l’Itterbio, il Lutezio, lo Scandio e l’Ittrio. 
Senza queste Terre Rare, non é possibile costruire smartphone, tablet, computer, 
elettrodomestici e televisori.
Sono necessari, in campo medico, nell’ambito di trattamenti oncologici e per gli 
apparati di risonanza magnetica (MRI); nell’industria della difesa, dove vengono 
usate per la costruzione di droni, di sistemi radar, sonar, laser e di guida, e come 
componenti dei motori a reazione dei missili.
Vi pare poco ?
La quantità di questi Elementi, varia a seconda delle applicazioni: in un cellulare 
troviamo 50 millligrammi, in un condizionatore invece 120g, in una macchina 
Toyota PRIUS 15 kg, in un aereo F-35, sino a 416 kg.
Le quantità salgono a 1818 kg in un nave da guerra e addirittura raddoppiano in un 
sottomarino militare.
Vi sembrano ancora poco ?
Vi ricordate la transazione dal legno al carbone nel XIX secolo e quello dal 
carbone al petrolio nel XX secolo ?
Allora furono l'Impero britannico e poi gli Usa ad assicurarsi lo sfruttamento 
(monopolio) di queste fonti energetiche.
Oggi, in silenzio, é la Cina che s'accaparra quello che domani sarà indispensabile.
E lo farà con o senza i talebani, perché, come ho detto, quello che conta é il suolo 
afghano e non certo il di lui Popolo.
Coinvolgere in un "percorso umanitario" la Cina é a dir poco una richiesta 
stravagante.
Davanti alle Terre Rare non ci sono Diritti che tengono, non ci sono Donne 
picchiate, Uomini uccisi e Persone che cadono dagli aerei.
C'é altro e si chiama futuro tecnologico.
Con o senza i talebani.




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Economia semi-sommersa dei Talebani

Economia semi-sommersa dei Talebani


 La svolta di Kabul Afghanistan: non solo oppio, l'economia semi-sommersa dei talebani : da vent'anni il movimento si finanzia con "dazi" su vari beni . La caduta del governo filo-occidentale e il ritorno del regime talebano ha affidato agli islamisti il controllo dell'economia ufficiale dell'Afghanistan, un compito non del tutto estraneo al movimento, che nel corso di vent'anni di insurrezione ha messo in piedi una sorta di amministrazione ombra nelle aree del Paese che controllava. Il Financial Times ricostruisce le fonti del finanziamento dei talebani, al di là del traffico d'oppio ed eroina, che rappresenta una parte minoritaria delle entrate del movimento. I ribelli hanno sempre guadagnato di più dai dazi sul trasporto attraverso i loro territori di beni quali carburante e sigarette. "La fonte primaria" delle finanze talebane "è la tassazione di beni legali" ha detto a Ft David Mansfield, analista di Afghanistan per il think tank britannico Overseas Development Institute. "Le droghe non sono una fonte significativa di finanziamento per i talebani come sostengono in molti, una convinzione che ha portato a una comprensione distorta dell'economia e della ribellione". 

Dopo che gli Usa nei giorni scorsi hanno bloccato l'accesso alle riserve della banca centrale e l'Fmi ha rifiutato lo sblocco di un finanziamento, il controllo dei talebani dei valichi di confine e il loro ruolo centrale nell'economia sommersa del Paese consentiranno al movimento di avere una sorta di cuscinetto per attutire le pressioni finanziarie. Tuttavia il nuovo regime integralista dovrà muoversi in fretta per evitare la crisi e subentrare nel pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici e nel funzionamento dello stato. La corruzione endemica del governo del deposto presidente Ashraf Ghani ha offerto ai talebani la possibilità di conquistare il consenso di molti afghani stanchi di dover pagare tangenti a funzionari corrotti. 

Ma nonostante le rassicurazioni, gli afghani sono corsi in banca a ritirare i loro risparmi nelle ore successiva alla presa del potere da parte dei militanti e chi ha potuto ha cercato di fuggire all'estero. "Questi comportamenti stanno già cominciando a danneggiare la posizione economica che i talebani hanno costruito spiega Mansfield. Un esempio della governance economica talebana è il tratto di strada che collega la capitale Kabul al valico di confine del 78° miglio nella provincia sudoccidentale di Farah, alla frontiera iraniana. La strada ha oltre 25 checkpoint governativi con pedaggi in vari posti di blocco. Di contro, i talebani che controllano lo stesso tratto di strada hanno un unico check point e rilasciano una ricevuta, quindi è necessario un solo pagamento. Ibraheem Bahiss, consulente per l'Afghanistan dell' International Crisis Group, afferma che i talebani si sono presentati agli afghani come migliori amministratori. "Hanno sempre più cooptato infrastrutture statali per offrire migliori servizi di consegna" ha detto Bahiss a Ft, spiegando che in alcune aree i militanti islamici si sono preoccupati di fare sì che insegnanti e infermieri si recassero al lavoro. Negli ultimi anni i talebani hanno ampliato la loro base impositiva rispetto alle secolari oshr, una decima sui raccolti, e zakat, imposta religiosa del 2,5% sui redditi destinata ai poveri. Nella provincia di Nimroz, i dazi sui beni in transito, come veicoli e sigarette, rappresentava l'80% delle entrate dei talebani, secondo Odi.

 Operazioni minerarie illegali e tasse sui carburanti importati sono fonti ulteriori di finanziamento. Secondo la società di consulenza Alcis le tasse sui carburanti importati dall'Iran hanno fruttato ai talebani 30 milioni di dollari lo scorso anno. Negli ultimi anni sono cresciuti anche i proventi dalla produzione di metanfetamine, che rivaleggia ormai i ricavi dall'oppio.

 La pianta di efedra che cresce spontanea sugli altipiani dell'Afghanistan centrale viene usata per produrre metanfetamine, secondo il Centro europeo per il monitoraggio di droghe e dipendenze.

 L'Afghanistan resta il maggior produttore di oppio al mondo nonostante i nove miliardi di dollari spesi in operazioni antidroga dall'invasione Usa del 2001. La coltivazione del papavero da oppio si diffusa negli ultimi vent'anni, aumentando solo lo scorso anno del 37%. I talebani tassano i raccolti di oppio, ma gli analisti non sono concordi circa la loro partecipazione attiva al traffico. 

Il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid ha detto che i militanti vogliono rinunciare alla droga e "far rinascere l'economia". "L'Afghanistan da oggi sarà un paese libero dai narcotici ma ha bisogno di aiuti internazionali. La comunità internazionale ci deve aiutare così che possiamo avere coltivazioni alternative". Un ex ministro talebano, che ha chiesto l'anonimato, ha pronosticato "tempi duri" per i militanti e per il Paese assediato che ora cercano di governare. "Il popolo afghano avrà un disperato bisogno di aiuto, ma non sarà facile lavorare con una burocrazia talebana per le ong" ha detto. "L'arrivo dei talebani ha chiaramente messo in imbarazzo gli Stati Uniti, che invece di buoni rapporti potrebbero ora cercare una vendetta politica".



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Ecco Come Pensano i Nuovi Talebani

Ecco Come Pensano i Nuovi Talebani


Nazionalisti, restauratori ma non jihadisti 


Il fallimento del regime filo-occidentale deriva dal fatto che il sentimento d’indipendenza afghano sia stato lasciato nelle mani dei talebani cioè dei pashtun.
 
Esiste poi una narrazione talebana sulla democrazia all’occidentale: una “falsa democrazia corrotta”. Meglio la severa ma intransigente tradizione nazionale legata ad una morale comprensibile.
 
Infine c’è un terzo elemento dialettico che i talebani stanno utilizzando: il fatto di non essere interessati a nient’altro che all’Afghanistan. I talebani negano (come hanno sempre fatto) di far parte del jihadismo internazionale o di avere a che fare con i movimenti terroristici globali.

Il repentino crollo delle istituzioni afghane davanti all’avanzata dei talebani deve far riflettere. Il movimento degli studenti islamici (questo il significato del nome) non è una macchina da guerra particolarmente sofisticata: si tratta di un’armata popolare quasi tutta di origine pashtun (l’etnia più numerosa del paese) e sommariamente armata. Sulla carta l’esercito afghano formato e equipaggiato dagli occidentali è molto più forte e meglio equipaggiato: ad esempio possiede un’aviazione che i talebani non hanno. Eppure indietreggia, abbandona le sue posizioni e fugge.

Gli americani sono molto irritati: avevano scommesso su una maggior resistenza con il segreto proposito di dividere il paese in due zone di influenza. Invece la repubblica afghana filo-occidentale crolla repentinamente e non riesce nemmeno a resistere quanto fece il regime filo-sovietico di Najibullah dopo il ritiro dell’armata rossa nel 1989, che cedette ai signori della guerra islamisti dopo più di due anni. In questo caso nemmeno due mesi. Molti esperti si chiedono il perché.

La spiegazione risiede nella composizione etnica afghana: la maggioranza relativa della popolazione è pashtun (circa il 40 per cento) e considera i talebani come “i nostri”: nessun regime sostenuto dall’estero può piegare tale patriottismo afghano che in buona sostanza è un patriottismo pashtun. Costoro hanno appena oltre confine nei beluchi pakistani i loro alleati naturali.


Le altre due etnie importanti sono i tagiki (27 per cento) e gli hazara (15 per cento). Questi ultimi sono sciiti e quindi da sempre considerati estranei ed eretici dagli altri afghani. Al limite si può trovare un talebano tagico o uzbeko ma mai hazara. I profughi che fuggono sono in maggioranza hazara, passano per l’Iran sciita e entrano dalla porta turca verso l’Europa.

I tagichi invece (nonostante i miti occidentali sul Panshir) hanno un rapporto negoziale con i pashtun, alternando alleanza e ostilità, dipende dai momenti. In tale quadro si capisce che, consapevoli ormai da mesi della ritirata americana, molti tagichi o uzbeki abbiano fatto accordi preventivi con i talebani che ora si realizzano tutti assieme, dandoci l’impressione del crollo generale. 



LA NARRAZIONE TALEBANA 
È necessario comprendere la narrazione della battaglia che i talebani hanno elaborato negli anni. Si tratta di una narrazione patriottica che risale fin dagli anni Novanta, quando i mujahidin (inclusa la nascente al qaeda) avevano scacciato i sovietici ed erano entrati a Kabul, senza tuttavia riuscire a mettersi d’accordo. Anzi: i signori della guerra si erano aggrediti tra loro dentro Kabul. L’arrivo dei talebani nel 1996 aveva riportato pace ed unità, anche se a caro prezzo.
Di conseguenza nell’immaginario afghano la tradizione pashtun è unitaria e capace di tenere insieme il paese. La sharia dei talebani è una versione della tradizione pashtun, più dura della stessa legge islamica e con radicate usanze arcaiche.

Ma non è tutto così semplice: anche la società pashtun ha le sue diversità e basta leggere le testimonianze di Malala (peraltro odiata dai talebani) per capire che un’evoluzione è possibile. Lo stesso Pakistan, che esce vittorioso da questa fase, la favorisce. Ma nessun miglioramento può essere imposto dall’esterno, in particolare dagli stranieri: in quel caso si ferisce l’orgoglio pashtun e afghano assieme.


A U.S. Chinook helicopter flies over the city of Kabul, Afghanistan, Sunday, Aug. 15, 2021. Taliban fighters entered the outskirts of the Afghan capital on Sunday, further tightening their grip on the country as panicked workers fled government offices and helicopters landed at the U.S. Embassy. (AP Photo/Rahmat Gul)
Il fallimento del regime filo-occidentale deriva dal fatto che il sentimento d’indipendenza afghano sia stato lasciato nelle mani dei talebani cioè dei pashtun. Esiste poi una narrazione talebana sulla democrazia all’occidentale: una “falsa democrazia corrotta”. Davanti alla conclamata corruzione di chi è stato sostenuto in questi 20 anni da Usa ed Europa, che i nostri stessi media hanno descritto in lungo e in largo, i talebani chiedono agli afghani: «se la democrazia è questa, perché difenderla?». Meglio la severa ma intransigente tradizione nazionale legata ad una morale comprensibile.

Infine c’è un terzo elemento dialettico che i talebani stanno utilizzando: il fatto di non essere interessati a nient’altro che all’Afghanistan. In altre parole negano (come hanno sempre fatto) di far parte del jihadismo internazionale o di avere a che fare con i movimenti terroristici globali. La battaglia è nazionalista e sostengono di non rappresentare una minaccia.

Si tratta di un popolo fiero e orgoglioso, un avversario temibile se attaccato, una forma di civiltà passatista se si vuole, ma nulla di più. Nel 2001 il pretesto della guerra occidentale fu l’ospitalità offerta a bin Laden; ora tale eventualità è più remota. Difatti le relazioni dei talebani con l’Isis e altri movimenti della jihad islamica sono pessime al punto di combattersi.



L’occidente dovrà adattarsi ad avere a che fare non solo e non tanto con dei radicali islamici ma soprattutto con un movimento patriottico nazional-religioso. Resta una parte di ambiguità certamente, ma non è dissimile da quella che esiste nelle relazioni occidentali con il Pakistan, ad esempio.

Russi e cinesi stanno già trattando con i talebani e non si vede perché l’occidente, che è in possesso di una conoscenza migliore del terreno, non debba fare altrettanto. Come procedere? Innanzi tutto salvare quanti più amici afghani possibile, senza lasciare indietro nessuno che ci abbia aiutato o che sia in pericolo, in particolare gli interpreti, le donne professioniste e chi ha collaborato con le nostre Ong.

Non si deve agire come nel caso degli harkis (gli algerini filofrancesi che furono abbandonati e poi in gran parte trucidati) o dei montagnards o hmong vietnamiti. L’attuale ponte aereo italiano deve portare via non solo i connazionali ma anche tutte e tutti coloro che ci sono stati vicini.

In secondo luogo occorre creare fin d’ora una rete di contatti interni, utili in futuro. In terzo luogo negoziare con i talebani una serie di garanzie sia per i nostri interessi che per alcuni settori della società afghana. Pare che ciò si stia facendo, ad iniziare dalla salvaguardia delle ambasciate che – se possibile – non andrebbero chiuse.


Passengers walk to the departures terminal of Hamid Karzai International Airport, in Kabul, Afghanistan, Saturday, Aug. 14, 2021. As a Taliban offensive encircles the Afghan capital, there's increasingly only one way out for those fleeing the war, and only one way in for U.S. troops sent to protect American diplomats still on the ground: the airport.
Infine, la cosa a cui dobbiamo prepararci per tempo è accogliere in Europa l’onda umana di chi sta fuggendo. Ciò rappresenta la miglior caparra per il domani in favore di un Afghanistan pacificato e plurale. Per quanto la sua politica sia arcaica, il nuovo regime talebano nel tempo dovrà confrontarsi con le diversità interne del suo popolo.

Senza la guerra contro lo straniero a fare da collante, emergerà una distinzione e diversificazione anche all’interno dell’universo talebano che conosciamo poco nelle sue articolazioni. Secondo alcuni esperti l’esportazione della democrazia ha saldato assieme fazioni diverse.

A questo livello la collaborazione del Pakistan potrà rivelarsi utile. Nell’ora dell’euforia della vittoria i talebani saranno inflessibili ma tale fase non durerà. Governare è tutt’altra cosa che vincere una guerra sostanzialmente rurale. La loro prima esperienza di governo non fu probante e i talebani lo sanno. Tuttavia a quell’epoca le Ong occidentali avevano il permesso di operare nel paese, fatta salvo la separazione dei sessi.

Come tutti i regimi nazionalisti e nazional-religiosi anche i talebani sono alla ricerca della nazione perfetta e omologata. Al momento paiono meno interessati alla rivoluzione jihadista globale. Il loro ideale è votarsi alla tradizione religiosa e alla causa nazionale, una forma allargata di patriottismo pashtun. In questo non c’è nulla di nuovo.

L’esportazione violenta della democrazia ha portato l’occidente al fallimento: ora si tratta di ricucire con intelligenza una relazione difficile ma non impossibile. Tenuto conto della posizione geo-strategica dell’Afghanistan, per l’occidente la scelta peggiore sarebbe quella vendicativa che isoli il paese, lasciando così spazio alle ambizioni economiche e geopolitiche di altre potenze.

In questo gli stati dell’Unione europea –mai del tutto convinti della postura combat degli anglosassoni a Kabul- possono svolgere con utilità la loro parte, anche collaborando con la Turchia che potrebbe pragmaticamente rivelarsi un mediatore possibile. Cercare ora l‘aiuto turco o pakistano è una forma di umiliazione: gli errori si pagano ma non c‘è altra via per non perderci proprio tutto.  



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Numeri del Reddito di Cittadinanza

Numeri del Reddito di Cittadinanza


Lo ricevono 1,2 milioni di famiglie per un totale 
di quasi tre milioni di persone coinvolte, 
soprattutto nelle province del Sud

Come era già successo lo scorso anno, anche alla fine di questa estate il dibattito politico si è concentrato sul futuro del reddito di cittadinanza, la misura di sostegno economico approvata a metà gennaio 2019 dal primo governo Conte. Da tempo si discute di possibili modifiche per risolvere un problema riconosciuto da tutti i partiti: finora si è dimostrato un’efficace misura di sostegno per le fasce più povere della popolazione, ma ha in larga parte fallito come strumento di attivazione del mercato del lavoro.

Lo scostamento dagli obiettivi iniziali ha portato alcuni partiti a chiedere l’abolizione del reddito di cittadinanza – soprattutto Italia Viva di Matteo Renzi, a cui si sono aggiunti anche Fratelli d’Italia e la Lega, che lo aveva votato nel 2019 quando era al governo con il Movimento 5 Stelle – e altri come il Partito Democratico e lo stesso Movimento 5 Stelle a chiedere l’introduzione di possibili correttivi di cui però si sa ancora poco.

Numeri del Reddito di Cittadinanza


Il reddito di cittadinanza è un sostegno economico ad integrazione dei redditi familiari pensato per aiutare le famiglie che si trovano in difficoltà economica. Non è universale e perenne, ma temporaneo, vincolato alla partecipazione delle persone che lo ricevono a un percorso di inserimento lavorativo o alla sottoscrizione di un patto di inclusione sociale, mentre alcune persone, come i pensionati o i disabili, lo possono ricevere senza nessuna condizionalità. Da aprile 2019 l’assegno previsto dal reddito di cittadinanza viene destinato solo ai cittadini italiani o a chi risiede in Italia da almeno 10 anni. Per ottenere il sostegno, le persone che lo chiedono devono rispettare una serie di parametri economici tra cui un ISEE inferiore a 9.360 euro. L’ISEE è un indicatore che accerta lo stato economico di una famiglia: comprende non solo il reddito complessivo annuo, 
ma anche rendite e beni di proprietà.

Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’INPS e relativi a luglio 2021, in Italia le famiglie che ricevono il reddito di cittadinanza sono un milione e 242mila, per un totale di due milioni e 920mila persone coinvolte. La pensione di cittadinanza, la versione del reddito di cittadinanza per gli anziani sopra i 67 anni, viene ricevuta da 133mila famiglie per un totale di 150mila persone coinvolte. L’importo medio dell’assegno – considerati entrambi i tipi – è di 578 euro.

La maggior parte degli assegni viene destinata a nuclei chiamati “monocomponenti”, cioè composti da una sola persona. Oltre a tenere conto di rendite e beni, l’importo dell’assegno varia anche in base al numero di componenti di una famiglia. Le persone che vivono da sole hanno un assegno più basso, con un importo medio di 448 euro, ma sono anche la categoria più numerosa: 610mila persone. Le famiglie con due componenti sono 269mila e ricevono un assegno medio di 546 euro, e poi a salire fino a quelle con sei o più componenti che sono 32.987, con un importo medio mensile di 683 euro. Le famiglie numerose non ricevono l’assegno medio più alto, che secondo i dati dell’INPS viene assegnato alle famiglie con quattro componenti che ricevono in media 703 euro.


I cittadini italiani che ricevono il reddito di cittadinanza sono 2,4 milioni, mentre i cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno 321mila. I cittadini europei sono 120mila. L’importo medio mensile è più alto per i cittadini italiani, che ricevono 589 euro. L’assegno mensile medio destinato ai cittadini europei è di 558 euro e ai cittadini extracomunitari vanno mediamente 501 euro al mese.


La mappa che mostra la distribuzione territoriale evidenzia una sproporzione tra le province del Nord e quelle del Sud. Napoli è la provincia con la percentuale più alta di beneficiari rispetto alla popolazione, il 15,5 per cento. Percentuali alte si trovano anche a Palermo, 15,2 per cento, Crotone con 14,4, Caserta 13,5 e Catania con 13,2 per cento. Le province con la percentuale di beneficiari più bassa rispetto alla popolazione sono Bolzano, dove lo 0,1 per cento degli abitanti riceve il reddito di cittadinanza, Belluno con lo 0,6 per cento e Pordenone, Vicenza e Treviso con 0,9.


Da aprile 2019 a luglio 2021, in poco più di due anni, sono stati investiti 15,2 miliardi di euro per garantire il sostegno economico alle persone senza lavoro e in difficoltà economiche. Gli ultimi tre mesi sono quelli in cui sono stati destinati più soldi, probabilmente per effetto della crescita delle domande dovuta all’epidemia: a maggio 2021 sono stati spesi 714 milioni di euro, a giugno 720 milioni e a luglio 719 milioni.


I dati pubblicati dall’INPS non consentono di capire quante persone abbiano trovato un lavoro dall’aprile del 2019, quando la misura è partita. Secondo un report della Corte dei Conti, al 10 febbraio 2021 a fronte di 1,6 milioni di persone convocate dai Centri per l’Impiego, poco più di 1,05 milioni avevano dovuto sottoscrivere il Patto per il lavoro: alcuni beneficiari, come i disabili o pensionati, non sono infatti vincolati a cercare un’occupazione. Sempre al 10 febbraio, erano 152.673 le persone che avevano instaurato un rapporto di lavoro successivo alla data di presentazione della domanda. Sono il 14,5 per cento del totale.





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la Lega Scoppia e Ripudia Salvini

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Presidenti regionali, sindaci e i militanti più ortodossi preparano un'offensiva contro il loro leader Matteo Salvini per la sua tattica di stare insieme al governo e all'opposizione

Come va con la Lega di Matteo Salvini? È brutto, è molto brutto, e questa volta non è una semplice opinione ma solo mettere in riga i fatti che stanno imbarazzando gran parte del partito.

Presidenti regionali, sindaci e i militanti più ortodossi stanno preparando un'offensiva contro il loro leader Salvini per chiarire una volta per tutte i danni di questa tattica schizofrenica di stare insieme al governo e all'opposizione. Sono in tanti a cui non piacciono (per usare un eufemismo) gli ammiccamenti ai No Vax e anche l'aver votato per gli emendamenti di Fratelli d'Italia ha irritato le persone che contano molto in Lega. Oltre a tutto, Salvini è anche accusato di non aver ottenuto alcun risultato politico, riuscendo a farsi superare da tutti: troppo altalenante per essere considerato "responsabile" e troppo sottomesso con Draghi per essere considerato veramente "un avversario".

la Lega Scoppia e Ripudia Salvini

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Ci sarà sicuramente una conferenza. La data sarà fissata subito dopo l'amministrazione (dove il centrodestra, nei sondaggi odierni, non sembra messo troppo bene in nessuna delle città che contano) e Salvini sarà chiamato a dare conto dell'enorme consenso che ha avuto per gli europei e che riuscì a disperdere in pochi mesi (a favore dell'avversaria interna Giorgia Meloni).

Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia, Massimiliano Fedriga, Attilio Fontana (solo per citare i più importanti) non sostengono la deriva neofascista, complottista e piena di improbabili personaggi dell'ultima ora (come Claudio Borghi e Francesca Donato) che infuriano con il loro uscite a dir poco pittoresche. Gli amministratori della Lega temono che i loro sforzi vengano sprecati, in termini di credibilità, da chi cerca di infiammare i social in cambio di un po' di visibilità.

«Questo è un partito da due anni commissionato a tutti i livelli: dobbiamo tenere i congressi - dice Roberto Marcato, consigliere regionale veneto e "fedelissimo" di Zaia, che aveva già tuonato contro i fascisti al Carroccio - Lo rivendicano migliaia di militanti, è un fatto di democrazia»: la sentenza è molto più pesante e significativa di quanto sembri.

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Poi c'è il grano Durigon: l'ex sottosegretario del Mef si era dimesso con la promessa di Salvini di diventare vicesegretario con la delegazione del Sud ma prima Giorgetti (e poi tanti altri) si è messo di mezzo e non ha lasciato nulla di fatto. Una persona molto vicina a Salvini dice letteralmente che "Durigon è impazzito" e circolano voci (ha scritto anche Il Fatto Quotidiano qualche giorno fa  ) che potrebbe esserci addirittura una trattativa da parte della Durigon per sbarcare a Fratelli d'Italia, proprio a alla corte di quella Giorgia Meloni che è sempre più convinta
 di essere il prossimo leader del centrodestra.

A questo si aggiunga che lo stesso Salvini qualche giorno fa è riuscito per l'ennesima volta a rimediare a una figura barbuta dicendo che "le varianti nascono come reazione al vaccino, è compito del vaccino" (e poi gli chiederesti perché è stato vaccinato, tra l'altro) quando l'OMS (ma praticamente tutto il mondo della scienza) dice chiaramente: "Più persone si vaccinano, più ci aspettiamo che la circolazione diminuisca, il che porterà a meno mutazioni".




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venerdì 10 settembre 2021

Giuseppe Di Vittorio

Giuseppe Di Vittorio



Quando il bracciante Giuseppe Di Vittorio varcò per la prima volta la soglia della Camera dei Deputati , qualcuno lo definì "un cafone in Parlamento ". La risposta dell'ex segretario della Cgil e padre costituente, rimane nella storia: "Ebbene sappiate che questo titolo non mi offende, anzi, mi onora, infatti se io valgo qualcosa, se io sono qua, lo devo ad Ambrogio, a Nicola, a Tonino, a tutti quei braccianti analfabeti che hanno dormito insieme a me nelle cafonerie e
 con me hanno mangiato pane e olio".

La Vita 
Figlio di braccianti agricoli che lavoravano la terra dei marchesi Rubino-Rossi di Cerignola. Costretto a fare il bracciante, a causa della morte del padre per un incidente sul lavoro nel 1902, dopo avere appena imparato a leggere e scrivere sommariamente, teneva un quaderno in cui annotava termini ignoti che udiva, mettendo da parte faticosamente i soldi per acquistare un vocabolario. Già negli anni dell'adolescenza, a 12 anni circa, aveva iniziato un'intensa attività politica e sindacale con Aurora Tasciotti; inizialmente di idee anarchiche, passò poi al socialismo, e a 15 anni fu tra i promotori del Circolo giovanile socialista della città, mentre nel 1911 passò a dirigere la Camera del Lavoro di Minervino Murge.

Famiglia
Di Vittorio si sposò due volte: la prima, il 31 dicembre 1919, con Carolina Morra, sindacalista e bracciante di Cerignola, dalla quale ebbe i figli Baldina (1920-2015) poi fondatrice dell'Associazione Casa Di Vittorio con sede a Cerignola, e Vindice (1922-1974) nato mentre i fascisti assaltavano la Camera del Lavoro di Bari, poi partigiano nella Resistenza Francese-Maquis. I particolari nomi dei figli esprimono le convinzioni di Di Vittorio: Baldina deriva da Balda, cioè "coraggiosa", mentre Vindice significa "vendicatore" o "colui che vendica i torti subiti", in riferimento allo sfruttamento e al fascismo; dopo essere rimasto vedovo, a Parigi nel 1935, si risposò nel 1953 con la giovane giornalista Anita Contini, conosciuta negli anni '40, a sua volta vedova.

Di Vittorio sindacalista
Al centro dei problemi del lavoro c'era allora in Italia, come oggi, la questione meridionale. Membro della camera del lavoro di Cerignola, nel 1911 aderì al sindacalismo rivoluzionario e nel 1912 Di Vittorio, pur in carcere da alcuni mesi, fu eletto nel comitato centrale dell'Unione Sindacale Italiana nel corso del congresso fondativo di novembre.

Così come alcuni membri del sindacalismo rivoluzionario, tra cui l'amico Filippo Corridoni, egli fu "interventista" riguardo alla prima guerra mondiale, a detta di Randolfo Pacciardi, smentito da Di Vittorio stesso in un'intervista a Felice Chilanti: in verità inizialmente pacifista, sposò ardentemente la tesi interventista in un articolo su Il Popolo d'Italia del 18 giugno 1915. Assegnato al 1º reggimento bersaglieri, fu ferito seriamente nel 1916. Finita la guerra tornò segretario della Camera del lavoro di Cerignola e membro fino al 1921 del comitato centrale dell'USI.

Di Vittorio, a cui amici ed avversari riconobbero unanimi un grande buonsenso ed una ricca umanità, seppe farsi capire, grazie al suo linguaggio semplice ed efficace, sia dalla classe operaia, in rapido sviluppo nelle città, sia dai contadini ancora fermi ai margini della vita economica, 
sociale e culturale del Paese.

L'entrata in politica con il Partito Socialista, il fascismo e la clandestinità comunista
La elezione a deputato nel 1921 avviene in circostanze del tutto eccezionali. Esse ci offrono un quadro della situazione non solo personale, ma ci indicano lo scontro sociale in atto tra la fine del 1920 e la metà del 1921. Grazie alla conoscenza di Giuseppe Di Vagno in Puglia, che lo presenta poi a Bruno Buozzi, allora entrambi membri del Partito Socialista Italiano al Parlamento, diventa anche lui membro del PSI. Con lo stesso gruppo nel 1921 viene eletto deputato alla Camera, mentre è detenuto nelle carceri di Lucera. In seguito avrebbe diretto anche la Camera del Lavoro di Bari, dove organizzò la difesa della sede dell'associazione, sconfiggendo gli squadristi fascisti di Caradonna insieme con ex ufficiali legionari di Fiume, socialisti, comunisti, anarchici e Arditi del Popolo. Tre anni dopo la scissione di Livorno, nel 1924 aderisce al Partito Comunista d'Italia, dove rimarrà tutta la vita. Fu candidato nel 1924 in Puglia alla Camera con il PCdI, ma non fu rieletto.

Con l'avvento del Fascismo in Italia e disciolti tutti i partiti e i sindacati, viene condannato dal tribunale speciale fascista a 12 anni di carcere, nel 1925 riuscì a fuggire in Francia dove aveva rappresentato la disciolta Confederazione Generale del Lavoro nell'Internazionale dei sindacati rossi. Dal 1928 al 1930 soggiornò in Unione Sovietica e rappresentò l'Italia nella neonata Internazionale Contadina per poi tornare a Parigi ed entrare nel gruppo dirigente del PCI clandestino. In questo periodo iniziarono i primi dissapori con il segretario del PCI sulla figura guida di Stalin del Movimento operaio internazionale e sul suo diktat, accettato da Togliatti, contro i "socialfascisti".

Di Vittorio quindi si pose contro la similitudine voluta da Stalin nell'equiparare il Nazifascismo alla Socialdemocrazia, anche perché considerava l'unità politica della sinistra (socialisti e comunisti) ancora attuale, in nome di un socialismo democratico, marxista ma rispettoso della libertà. Durante la guerra d'Etiopia, su indicazione del Comintern, inviò una squadra di tre persone - tre comunisti - chiamati "i tre apostoli", fra cui Ilio Barontini, esperto in questo genere di missioni - con l'incarico di organizzare la guerriglia locale contro l'invasione fascista.

Insieme ad altri antifascisti partecipò alla guerra civile spagnola, iniziata con l'insurrezione dei militari comandati dal generale Francisco Franco. Con il nome di Mario Nicoletti fu inquadrato come commissario politico nella XI e poi nella XII Brigata Internazionale e venne ferito a Guadalajara. Nel 1937, diresse a Parigi un giornale antifascista la “Voce degli Italiani” a cui collaborano personaggi come Maurizio Valenzi. Fu una delle poche voci autorevoli che si espresse contro le leggi razziali fasciste antisemite, avendo capito che, anche se in apparenza si trattava di leggi "blande" (rispetto a quelle tedesche), queste avrebbero in realtà portato col tempo allo sterminio.

Nel 1941 fu arrestato a Parigi dai tedeschi su richiesta delle autorità italiane e rinchiuso nel carcere de La Santé, dove ebbe modo di ritrovare il collega e amico della CGdL Bruno Buozzi, assieme al quale fu poi trasferito in Germania e, di qui, in Italia. Il regime fascista lo assegnò
 quindi al confino nell'isola di Ventotene.

Nel 1943 fu liberato dal governo Badoglio. Entrato in clandestinità dopo l'occupazione tedesca di Roma, Di Vittorio fu tra i protagonisti, con Bruno Buozzi e Achille Grandi, del dialogo per la rinascita del sindacato unitario italiano. Buozzi fu ucciso dai nazisti in fuga da Roma il 4 giugno 1944 a La Storta, cinque giorni prima della firma del Patto di Roma, con il quale venne ricostituita la CGIL. Il Patto fu sottoscritto infatti il 9 giugno 1944, ma, per onorare la memoria di Buozzi e ricordare il suo impegno nelle trattative che resero possibile l'accordo, nel testo venne apposta la data di quello che si riteneva fosse il suo ultimo giorno di vita: 3 giugno 1944.

I vertici della CGIL unitaria Oreste Lizzadri (PSI), Achille Grandi (DC) e Giuseppe Di Vittorio (PCI) nel 1945.
Buozzi fu sostituito nel ruolo di co-Segretario generale della CGIL e di firmatario del Patto di Roma dal sindacalista socialista Emilio Canevari e, poi, da Oreste Lizzadri. Di Vittorio, Grandi e Lizzadri erano i rappresentanti delle principali correnti del sindacalismo italiano: comunista, cattolica e socialista.

Negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale, prese parte alla Resistenza tra le file delle Brigate Garibaldi. Nel 1945 fu eletto segretario della CGIL.

L'anno seguente, nel 1946, fu eletto deputato all'Assemblea Costituente con il PCI.

Il Dopoguerra e il dissenso da Togliatti per i 'fatti d'Ungheria del 1956'

L'unità sindacale così raggiunta durò fino al 1948, quando, in occasione dello sciopero generale politico proclamato in seguito all'attentato a Palmiro Togliatti, la componente cattolica si separò e fondò un proprio sindacato, la CISL, presto imitata dai socialdemocratici
 che si raggrupparono nella UIL.

La fama ed il prestigio di Di Vittorio ebbero largo seguito tra la classe operaia ed il movimento sindacale di tutto il mondo tanto che, nel 1953, fu eletto presidente della Federazione Sindacale Mondiale. Fu uno dei primi marxisti a intuire la pericolosità del regime stalinista sovietico.

Nel 1956 si riacutizzò il confronto con Togliatti sul ruolo dell'URSS; suscitò scalpore la sua presa di posizione, difforme da quella ufficiale del PCI, contro l'intervento dell'esercito sovietico per reprimere la rivolta ungherese, tanto che lo stesso Di Vittorio in una confidenza (come riferì anni dopo Antonio Giolitti) esclamò: «L'Armata rossa che spara contro i lavoratori di un paese socialista! Questo è inaccettabile! Quelli sono regimi sanguinari! Una banda di assassini!».

La pietra dello scandalo fu che Di Vittorio, allora segretario generale della CGIL, approvò il testo di un comunicato, redatto dal vice-Segretario socialista della CGIL Giacomo Brodolini, poi votato all'unanimità dalla Segreteria della Confederazione il 27 ottobre 1956, nel quale si esprimeva la solidarietà del sindacato ai lavoratori ungheresi e il dissenso nei confronti dell'intervento repressivo delle truppe sovietiche: «La Segreteria della CGIL esprime il suo profondo cordoglio per i caduti nei conflitti che hanno insanguinato l'Ungheria, ravvisa in questi luttuosi avvenimenti la condanna storica e definitiva dei metodi antidemocratici e di governo e di direzione politica ed economica che determinano il distacco fra dirigenti e masse popolari... deplora che sia stato richiesto e si sia verificato in Ungheria l'intervento di truppe straniere...» (Avanti! e L'Unità del 28 ottobre 1956). Inoltre, poiché si era diffusa la voce che l'atteggiamento assunto dalla C.G.I.L. riguardo agli avvenimenti ungheresi fosse dovuto principalmente alle pressioni dei sindacalisti socialisti, Di Vittorio si sentì di dover dimostrare che tale posizione rifletteva effettivamente le convinzioni di tutti i membri della segreteria confederale (del resto il documento era stato votato all'unanimità), rilasciando a sua volta una dichiarazione all'agenzia di stampa S.P.E., affermando che «gli avvenimenti hanno assunto un carattere di così tragica gravità che essi segnano una svolta di portata storica» e che «è un fatto che tutti proclami e le rivendicazioni dei ribelli, conosciuti attraverso le comunicazioni ufficiali di radio Budapest, sono di carattere sociale e rivendicano libertà e indipendenza. Da ciò si può desumere chiaramente che — ad eccezione di elementi provocatori e reazionari legati all'antico regime - non vi sono forze di popolo che richiedano il ritorno del capitalismo o del regime di terrore fascista di Horty». La valutazione della natura popolare e democratica della rivolta ungherese contenuta in detta dichiarazione contrastava nettamente con la ricostruzione dei fatti operata dal corrispondente de L'Unità Orfeo Vangelisti, secondo cui "gruppi di facinorosi, seguendo evidentemente un piano accuratamente studiato, hanno attaccato la sede della radio e del Parlamento. Gruppi di provocatori in camion hanno lanciato slogan antisovietici apertamente incitando a un'azione controrivoluzionaria. In piazza Stalin, i manifestanti hanno tentato di abbattere la statua di Stalin. L'intervento sovietico è un dovere sacrosanto senza il quale si ritornerebbe al terrore fascista tipo Horty. Le squadre dei rivoltosi sono composte prevalentemente da giovani rampolli della aristocrazia e della grossa borghesia".

Togliatti, segretario del PCI, in una lettera riservata inviata alla segreteria del Comitato Centrale del PCUS il 30 ottobre 1956, nella quale relazionava ai sovietici sulle ripercussioni delle vicende ungheresi in Italia, affermava che «... vi sono coloro che accusano la direzione del nostro partito di non aver preso posizione in difesa dell'insurrezione di Budapest e che affermano che l'insurrezione era pienamente da appoggiare e che era giustamente motivata. Questi gruppi esigono che l'intera direzione del nostro partito sia sostituita e ritengono che Di Vittorio dovrebbe diventare il nuovo leader del partito. Essi si basano su una dichiarazione di Di Vittorio che non corrispondeva alla linea del partito e che non era stata da noi approvata. Noi conduciamo la lotta contro queste due posizioni opposte ed il partito non rinuncerà a combatterla...»

E infatti, il leader comunista italiano costrinse Di Vittorio, accusato di essere contro il Partito e di renderlo debole agli occhi dell'Italia e del mondo, in una sorta di "processo interno", ad aderire alla posizione ufficiale del PCI, "sconfessando" quanto in precedenza da lui affermato, giustificando pubblicamente la sua condotta di sindacalista con l'esigenza di unità della confederazione.

Di Vittorio continuò a guidare la CGIL fino alla sua morte, avvenuta nel 1957 a Lecco, poco dopo un incontro con alcuni delegati sindacali. Colpito da un primo infarto nel 1948 e da un secondo nel 1956, il terzo lo stroncò all'età di 65 anni.

È sepolto nel Cimitero del Verano in Roma.



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domenica 5 settembre 2021

Non Votateli Mai Lega e Fratelli d'Italia

Non Votateli Mai : Lega e Fratelli d'Italia

Col RdC non ci Sarà più il
Voto di Scambio ,
Ti regalo la spesa se Mi Voti .
 
Non ci sarà più lavoro Nero 
14 ore a 2 Euro Ora
Senza Contributi .
 Mentre questi Partiti 
lo Vogliono togliere .
Sarà Perchè 
Usavano Questi Metodi
i Loro Elettori ?

Non Votateli Mai

Lega e Fratelli d'Italia





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fascioleghisti no vax

fascioleghisti no vax




fascioleghisti no vax : negate l'esistenza del covid, poi contestate le mascherine, il vaccino ed il green pass, oggi siete passati alle aggressioni verbali e fisiche. Avete rotto i gabbasisi e da non vaccinati vi sfido a finire con il casco d'ossigeno in ospedale come in Foto. Chi non sperimenta di persona certe tragedie per capirle deve provarle. Questo post è  dedicato a chi in malafede alimenta paure a fini politici-elettorali sostenendo l'insostenible sull'efficacia dei vaccini.




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Hanno Ucciso la Sinistra

Hanno Ucciso la Sinistra

Hanno Ucciso la Sinistra

Lasciandoci Questi 3 Idioti

Programma dei Talebani



Hanno Ucciso la Sinistra

Il Capitalismo italiano coadiuvato dai servizi segreti nostrani deviati e corrotti , unitamente a quelli d'oltreoceano, hanno investito nel secolo scorso una montagna di quattrini per Uccidere la Sinistra italiana, l'unico partito che la rappresentava degnamente. Il PCI di E. Berlinguer. Misero in campo la loggia massonica fascista P2 di Licio Gelli che finanziata anche da un certo S. Berlusconi veniva accorpata anche dal potere mafioso x iniziare la stagione del terrore con le stragi di Stato. gli attentati a magistrati l'omicidio di A . Moro il quale voleva fare un'alleanza politica con quel PCI. Inventarono persino il terrorismo definito rosso per SMERDARE l'immagine di quella bandiera. Nei decenni sono riusciti nel loro intento. Oggi i risultati sono davanti agli occhi degli italiani.. Nazifascisti con il braccio alzato e la mano tesa sotto i palchi di tre parlamentari come Salvini Meloni e Berlusconi. ed organizzazioni fasciste come casapound e forza nuova che capeggiano il movimento ingenuo dei NO VAX al grido di libertà libertà. Ma quale Libertà , quella del Grande fratello in Tivù Spazzatura come Merdaset tanto il Canone lo Paghi Ugualmente , 
Libertà di scelta e Non Fare il Vaccino ed Infettare i Tuoi Genitori ?
Tutto ciò che Hanno Combattuto gli USA fuori dai Loro confini è Finito a male .
Guerra in Vietnam , PERSA , Guerra in Irak , Distrutto un Continente come l' Africa ed i Migranti prodotti li Deve Aiutare l'Europa , ( Italia in Primis ) . Guerra in Afghanistan , PERSA e sono Fuggiti Malamente e Distrutto un Paese Intero .
Per Non citare in Sudamerica che Dittature Malefiche Hanno appoggiato pur di Non Fare Funzionare Governi a Sinistra . 



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Personale Sanitario che non intende Vaccinarsi

Personale Sanitario che non intende Vaccinarsi



Personale Sanitario che non intende Vaccinarsi ne ha tutto il diritto.
A una condizione però : si leva il camice, esce dall'ospedale, rinuncia allo stipendio e si rifà una vita altrove. Il ruolo non consente alternative. Il medico o l'infermiere che non si vaccina, a parte l'ovvio rischio al quale espone gli ignari pazienti, è una persona che non crede nel sistema sanitario nazionale e non crede nella scienza. È libero di disertare. Non d'indossare a tradimento una uniforme che non è la sua. Escano dalla sanità pubblica e se ne facciano una propria. Fondino cliniche, propongano cure alternative, pubblichino dati scientifici non ortodossi, ne hanno facoltà.
La storia dell'umanità è piena di eteredossie, eresie, opinioni di minoranza che si sono poi rivelate utili. Ma gli eretici veri sono persone che rischiano, gli eretici costruiscono altri luoghi, gli eretici si contrappongono al potere pagandone il prezzo. Non se ne stanno, con il culo al caldo, a spillare lo stipendio a un padrone, lo Stato, che dimostrano di disprezzare, considerando insulsi i suoi sforzi e nulle le sue direttive di vaccinarsi, ma riscuotendo, a fine mese, regolare stipendio. Se ne vadano altrove. Fare il rivoluzionario a costo zero è molto comodo, ma molto poco etico 



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Mascherine ed Olocausto



Mascherine ed Olocausto




Storica sentenza del tribunale di Amburgo, che ha condannato un 55enne a una pena pecuniaria di 1800 euro per aver paragonato su Facebook , nell’ottobre 2020, l’uso delle mascherine alle camere a gas. 
Il pubblico ministero ha accusato l'uomo di banalizzare la sofferenza causata dal genocidio nazionalsocialista, mentre l’imputato si è difeso dichiarando di riferirsi alle condanne a morte negli Stati Uniti. Il giudice non ha però ritenuto attendibile la sua difesa e lo ha condannato per aver relativizzato l’Olocausto. 
In Germania negare la Shoah è già un reato .

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i Leghisti Privatizzerebbero Tutto per Rubare di Più

i Leghisti Privatizzerebbero Tutto per Rubare di Più


PRIVATIZZARE GARANTISCE IL LORO POTERE , 
RUBERIE , CORRUZIONE , COOPTAZIONE , MAFIE

Privatizzerebbero anche la propria madre 
se solo pensassero che gliene verrebbero quattro voti e favoritismi e "stecche" sottobanco...
Il peggio del peggio della politica si chiama LEGA col rinforzo fascisteggiante dei "Fratelli di taglia" che ormai imbarcano apertamente e senza scrupolo alcuno veri e propri fascisti dichiarati come quelli di Casa Pound , Forza nuova , Lealtà Azione... Non hanno tenuto però conto che poche centinaia di migliaia di Partigiani sconfissero i nazifascisti nel 1945 e molti di più sono pronti a ripetere la Resistenza antifascista , democratica, socialista !
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giovedì 19 agosto 2021

Furono i Comunisti a Liberare le Donne dell'Afghanistan

Furono i Comunisti a Liberare le Donne dell'Afghanistan


In molti dimenticano che furono i comunisti a liberare le donne dell'Afghanistan.
Mohammed Daud Khan diede vita alla prima Repubblica afghana, ma il suo Governo non durò molto. Infatti il Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan (PDPA), d'ispirazione marxista-leninista, rovesciò il Governo di Mohammed Daud Khan il 27 aprile 1978 con un colpo di Stato (la cosiddetta Rivoluzione di Saur) e diede vita alla Repubblica Democratica dell'Afghanistan governata dal leader del partito, Nur Mohammad Taraki. 

Furono i Comunisti a Liberare le Donne dell'Afghanistan. Mohammed Daud Khan diede vita alla prima Repubblica afghana, ma il suo Governo non durò molto. Infatti il Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan (PDPA), d'ispirazione marxista-leninista


Nei mesi successivi al colpo di Stato, il governo avviò una serie di riforme: fece distribuire le terre a 20.000 contadini, abrogò l'ushur (ovvero la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti) e bandì l'usura, regolò i prezzi dei beni primari, statalizzò i servizi sociali garantendoli a tutti, diede il riconoscimento al diritto di voto alle donne, legalizzò i sindacati, vietò i matrimoni forzati e lo scambio di bambine a scopo economico, sostituì leggi tradizionali e religiose con altre laiche, mise al bando i tribunali tribali e rese pubblica a tutti l'istruzione, anche alle bambine che in precedenza non potevano andare a scuola.


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il Programma dei Talebani Rubato a Lega e FdI

il Programma dei Talebani Rubato a Lega e FdI

il Programma dei Talebani Rubato a Lega e FdI


il Programma dei Talebani Rubato a Lega e FdI




il Loro #Programma i #Talebani 
l'hanno #Rubato alla #Lega e #FdI




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il 27 Agosto Marte sarà Visibile ad Occhio Nudo


il 27 Agosto Marte sarà Visibile ad Occhio Nudo

 

il 27 Agosto Marte sarà
 Visibile ad Occhio Nudo



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I Talebani sono i nuovi Narcos: Eroina, Miliardi e Geopolitica

il Loro #Programma i #Talebani l'hanno #Rubato alla #Lega e #FdI


Così la droga che producono 
finanzia la guerra e viene venduta
 in Usa e alle mafie mondiali e italiane

Non ha vinto l’islamismo, in queste ore, dopo oltre vent’anni di guerra. Ha vinto l’eroina. Errore è chiamarli miliziani islamisti: i talebani sono narcotrafficanti. Se si leggono i report dell’Unodc, l’ufficio droghe e crimine dell’Onu da almeno vent’anni, troverete sempre lo stesso dato: oltre il 90% dell’eroina mondiale è prodotta in Afghanistan. Questo significa che i talebani, insieme ai narcos sudamericani, sono i narcotrafficanti più potenti del mondo. Negli ultimi dieci anni hanno iniziato ad avere un ruolo importantissimo anche per l’hashish — producono non solo il fumo afgano, ma anche il charas — e la marijuana. Per quanto possa sembrarvi pretestuosa questa affermazione, di Afghanistan sentirete sempre parlare eludendo le dinamiche principali del conflitto, ignorando le fonti prime che finanziano la guerra, e spesso quindi vi sarete trovati a farvi un’idea su questa terra lontana sull’eterno conflitto mancando dell’elemento centrale: l’oppio.

La guerra in Afghanistan è una guerra dell’oppio. Prima delle scuole coraniche, dell’obbligo al burqa, prima delle spose bambine, prima, i talebani sono dei narcotrafficanti che portano un assoluto moralismo nel consumo delle droghe e nella coltivazione, che finsero di proibire nel 2001. Qui accade uno dei più gravi errori dell’amministrazione americana: nel 2002 il generale Franks, il primo a coordinare l’invasione in Afghanistan da parte delle truppe di terra americane, dichiarò: «Non siamo una task force antidroga. Questa non è la nostra missione». Il messaggio era rivolto ai signori dell’oppio, invitandoli a non stare con i talebani, dicendo che gli Stati Uniti avrebbero loro permesso la coltivazione. Lo stesso James Risen, nel 2009, scrisse sul New York Times un articolo dove segnalava che nella lista nera del Pentagono dei trafficanti di eroina da arrestare non venivano inseriti quelli che si erano schierati a favore delle truppe americane.

Le cose andranno male comunque, perché con la presenza militare americana gli affari dei contrabbandieri d’oppio che avevano bisogno di movimenti rapidi e veloci si vedono continuamente fermare, ispezionare, devono farsi autorizzare dai militari. I talebani invece riescono a ottenere rapidità di approvvigionamento e movimento, e non solo, iniziano a tassare il doppio i produttori che non lavorano per loro e a coltivare direttamente le proprie piantagioni. Non più quindi racket sulla coltivazione, ma diretta gestione del traffico. Questo l’avevano già iniziato a fare i mujaheddin, sostenuti dall’Occidente nella guerra contro i sovietici. I contadini non hanno alternativa: il Mullah Akhundzada, appena le truppe dell’Armata Rossa nel 1989 si ritirarono, capì che bisognava smettere di prendere il 10% come pizzo dai trafficanti di eroina, per essere direttamente loro, i guerriglieri di Dio, a gestire il traffico. Impose che tutta la valle di Helmand, a Sud dell’Afghanistan, fosse coltivata a oppio, e chiunque si fosse opposto, continuando a coltivare melograni o frumento prendendo sovvenzioni statali, sarebbe stato evirato. Il risultato fu la produzione di 250 tonnellate di eroina. Akhundzada oggi è indicato come il maggiore leader talebano, ed è uno dei trafficanti più importanti al mondo. Scalano le gerarchie interne (anche religiose) sempre di più i dirigenti talebani trafficanti rispetto a quello che accadeva un tempo, ossia dare incarichi e possibilità di comunicare ai dirigenti militarmente più capaci e alle figure religiose.

L’eroina talebana fornisce camorra, ‘ndrangheta e Cosa Nostra, fornisce i cartelli russi, e rifornisce Cosa Nostra americana e tutte le organizzazioni di distribuzione in Usa a eccezione dei messicani che cercano di rendersi autonomi dall’oppio afgano (a fatica, perché l’eroina di Sinaloa è più costosa di quella afgana). Tramite la rotta Afghanistan—Pakistan—Mombasa (Kenya) i talebani riforniscono anche i cartelli di Johannesburg in Sudafrica, altro immenso mercato. Forniscono eroina ad Hamas, altra organizzazione che si finanzia (anche) con hashish ed eroina e che ha infatti comunicato: «Ci congratuliamo con il popolo islamico afghano per la sconfitta dell’occupazione americana su tutto il territorio dell’Afghanistan e con i talebani e la loro brava leadership per la vittoria che giunge al culmine di una lunga battaglia durata 20 anni». Queste sono apparentemente alleanze politico—ideologiche, in realtà patti criminali.

il Loro #Programma i #Talebani l'hanno #Rubato alla #Lega e #FdI

il Loro #Programma i #Talebani l'hanno #Rubato alla #Lega e #FdI

L’eroina talebana ha creato un’asse importantissimo con la mafia di Mumbai, la D Company di Dawood Ibrahim, il sovrano dei narcos indiani protetto da Dubai e dal Pakistan e che è il vero distributore dell’oro afgano. Il mercato cinese ancora non è conquistato ma l’ambizione talebana guarda a Est, a prendersi anche il Giappone (la Yakuza si rifornisce in Laos, Vietnam e Birmania) e soprattutto le Filippine, che hanno un mercato florido e da sempre sono in rotta con l’eroina birmana. Quest’ultima come l’eroina cinese è direttamente gestita dai militari e quindi può contare su una produzione veloce ed efficiente che spesso i cartelli costretti alle tangenti e alle mediazioni non riescono ad ottenere.

Il massimo storico stimato per la produzione di oppio è stato raggiunto nel 2017, con 9.900 tonnellate, per un valore di circa 1,4 miliardi di dollari ma, come riferisce l’Unodc, se si tiene conto del valore di tutte le droghe - hashish, marijuana ed eroina — l’economia illecita complessiva del paese, quell’anno, sale a 6,6 miliardi di dollari. Gretchen Peters, la reporter che ha seguito da vicino il legame tra eroina e talebani, osserva nel suo libro Semi di Terrore: «Il più grande fallimento nella guerra al terrorismo non è che Al—Qaida si stia riorganizzando nelle aree tribali del Pakistan e probabilmente pianificando nuovi attacchi all’Occidente. Piuttosto, è la spettacolare incapacità delle forze dell’ordine occidentali di interrompere il flusso di denaro che tiene a galla le loro reti». La guerriglia colombiana delle Farc riuscì a tenere testa all’esercito occupando il 26% del territorio, e la propria forza economica si basava sulla cocaina. Benché le due guerriglie e le due vicende non siano comparabili, è fondamentale capire che le narcoguerre non possono vincersi con interventi di occupazione, e nemmeno con la classica guerra alla droga: bruciare piantagioni, punire coltivatori, arrestare trafficanti.



I talebani hanno cambiato lo scacchiere internazionale. Cosa Nostra e i marsigliesi, dagli anni Sessanta agli anni Duemila, importavano l’eroina dal sud-est asiatico; il monopolio dell’oppio era in Indocina, nel triangolo d’oro Birmania-Laos-Thailandia. Ora i talebani hanno preso il loro posto, lasciando un mercato residuale al sud-est asiatico, una fetta di mercato che va dall’1% al 4%. Gli Stati Uniti, rendendosi conto che i signori dell’oppio li stanno tradendo e che i sovrani del traffico sono diventati i talebani, spenderanno 8 miliardi (fonte: Reuters) per sradicare le piantagioni di papavero: errore fatale, perché i contadini afgani non poterono che schierarsi con gli studenti coranici — è bene ricordare che questo significa talebano. È paradossale: gli Stati Uniti combattevano investendo miliardi di dollari contro una guerriglia, che si finanziava vendendo eroina proprio ai suoi cittadini. Il primo e il secondo mercato di eroina in Europa sono Regno Unito e Italia. I governi occidentali ignorano il dibattito sulle droghe ormai da tempo immemore.

La droga non è un semplice vizio o una deriva immorale: la qualità del vivere peggiora, la competizione distrugge la serenità. Sia il privilegiato occidentale che il disperato contadino mediorientale accedono alle droghe: senza di esse, l’insostenibilità della vita li schiaccerebbe. Mentre l’anno scorso la pandemia di Covid-19 infuriava, la coltivazione del papavero è aumentata del 37% (fonte: Unodc). Più vivere in questo mondo diventa inumano, più aumenterà la necessità di droga, più i trafficanti ricaveranno profitto.


Regola su cui non troverete nessun dibattito in queste ore. Ma i talebani non vendono solo ai cartelli: senza oppio non si possono realizzare farmaci analgesici. Senza oppio, niente morfina né fentanil. Ora, le case farmaceutiche comprano oppio da produttori autorizzati, ma questi ultimi sempre più spesso comprano da società indiane che si approvvigionano direttamente dall’Afghanistan. I talebani decidono anche delle nostre anestesie e dei nostri psicofarmaci. Nel 2005, l’allora presidente Karzai aveva sentenziato: «O l’Afghanistan distrugge l’oppio, o l’oppio distruggerà l’Afghanistan». È andata esattamente come prevedeva la sua seconda ipotesi. Ma Karzai stesso era uno dei signori dell’oppio, e gran parte dei proclami erano solo una facciata. L’ex presidente è stato uno dei maggiori proprietari di raffinerie di oppio afgano. In realtà, stava dicendo: «Distruggeremo l’oppio gestito dai talebani e terremo il nostro». Insomma, dal monopolio di questo stupefacente non è possibile prescindere, hanno solo vinto i trafficanti migliori.

Le nuove generazioni di talebani sono identiche alle vecchie con una sostanziale differenza: i vecchi talebani vedevano i mujaheddin antisovietici come eroi, i nuovi talebani vedono come riferimento i grandi trafficanti, coloro che hanno cambiato le sorti della guerra (e le proprie) con l’oppio. I talebani utilizzano la legge islamica per creare un regime autoritario, necessario ai loro traffici; vietano la musica e l’ombretto mentre la droga, fino a vent’anni fa, la vendevano solo fuori dai confini: c’è stato un cambio di rotta. Ora vendono anche internamente. La tossicodipendenza in Afghanistan è un’epidemia che nessuno ha preso in considerazione e che cresce di anno in anno, e i talebani ne approfittano: le giovani reclute sono riempite di hashish — e questo è il meno —, ma vengono anche date possibilità di accedere all’eroina: entra nei nostri gruppi e potrai farti, è il non detto (impensabile vent’anni fa) dei caporali talebani. Quando ormai si riducono a larve,
 li gettano come zombie consumati.

L’Afghanistan si è trasformato in un narcostato, la cui unica possibilità di fuga è provare a consumare pasta base di eroina e taglio. Eroina da vendere ed eroina da distribuire per annichilire qualsiasi alternativa. Guardando l’esercito americano, i suoi blindati e i suoi elicotteri, vi sarà sembrato un’armata ricchissima contro pastori dalle barbe lunghe e dai coltelli arrugginiti. Ebbene, gli Stati Uniti hanno speso 80 miliardi in vent’anni di guerra per addestrare un esercito afgano, creare ufficiali, truppe, poliziotti e giudici locali; i talebani, in vent’anni, hanno guadagnato oltre 120 miliardi dall’oppio. Quale era l’esercito più ricco? Con chi conveniva stare? I talebani vincitori non avranno pace. I prossimi nemici saranno gli iraniani.

L’Iran ha bisogno di eroina esattamente come di benzina, e l’eroina consumata a Teheran viene tutta dall’Afghanistan. I trafficanti iraniani vogliono poter controllare l’eroina afgana, poter essere loro e non più i turchi, i libanesi (e i kurdi) a essere i mediatori con l’Europa. Vogliono non avere solo Hezbollah come strumento del traffico di hashish ed eroina, vogliono controllare l’oppio afgano e i talebani a breve saranno nemici da sconfiggere per sostituirli con i loro uomini. L’Iran è un paese divorato dall’epidemia d’eroina ma questa è un’altra storia. Rimane tra me e il mio lettore un patto: chiamare i talebani con il loro nome, narcotrafficanti.



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