L’amore non si contorce
Nei masulei degli altarini votivi
Le preghiere sono piaghe sanguinolenti
Fasciate a furia di strappi
Sono scivolose le scale
I rintocchi delle ore
Suonano a morte
Ogni volta che nella toppa
Gira la chiave
Si trascina la locusta
Che divora tutto
Immobile e incastrata
Tra le rovine di un disastro
Annunciato
La devasti
Con la tempesta
Che infuria dentro
E solo quando hai finito
Le lasci
Raccogliere i cocci
Che diventano
Creta da impastare
Alle lacrime
E nessuno
Se non Dio
Ti porterà
Dall’altra parte
A guardare
Le stelle
Si muore per «amore». Ogni volta, è un pugno nello stomaco, ribolle il sangue al pensiero che altre donne in meno di un giorno sono finite al Creatore e ancora parliamo di mostri incattiviti e di pratiche da far west, assalti in piena regola con tanto di lucidità.
Parliamo di quante denunce cadono nel vuoto, di quanti progetti sono stati attivati per curare questi uomini, quanti richiami a fare terapia, per le malattie ci vuole una cura, un percorso, un recupero.
Nella pratica, releghiamo le donne come in una riserva e abbiamo
la sensazione di averle protette, ma è un’illusione.
Dobbiamo ripensare a prevenire invece che curare solo.
Dentro i carnefici lavorano con le macchinose pazzie, logorando il cervello.
Sarebbe il caso di occuparci anche di loro,
di chiedere ricoveri e percorsi di consapevolezza e di crescita.
Il resto è pura cronaca di un disastro annunciato.
Sotto torchio finiscono sempre e solo le donne.
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Eseguo
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