TRA FAKE NEWS E GEOPOLITICA
Mentre diventa finalmente realistica la prospettiva di campagne vaccinali che possano sconfiggere il Covid 19, l’enorme competitività che divide le case farmaceutiche porta a una vera e propria guerra dei vaccini, combattuta a colpi di fake news, ovvero di dietrologie. Il primo prodotto a subire questo trattamento è stato il vaccino russo Sputnik V la cui approvazione a fine agosto il New York Times bollò come una semplice “mossa politica” scrivendo – senza nessuna prova di tale affermazione – che Mosca aveva saltato tutti i test con controlli randomizzati ed estesi. Ovvero le fasi necessarie per assicurare sia sicurezza che efficacia del prodotto. “Dunque non solo è potenzialmente pericoloso, ma non sappiamo neppure se funzioni davvero”. E Repubblica – nella sua nuova veste di giornale atlantista – sintetizzò: “Il vaccino russo è peggio del coronavirus”. Ovviamente tutte balle come hanno dimostrato i fatti, cioè le sperimentazioni di fase tre in Russia e negli Emirati, e gli accordi con numerosi governi per produrre Sputnik V nei diversi paesi. E l’Istituto Gamaleya – con il direttore Aleksandr Gintsburg – ha definito il respingimento del proprio prodotto
“una lotta per la quota di mercato”.
Accomunato dallo stesso destino appare oggi il primo vaccino autorizzato dalle autorità regolatorie in Occidente, dall’agenzia inglese e dalla FDA, quello contro il Covid di Pfizer-BioNTech ai raggi X che, secondo uno studio pubblicato dal prestigioso New England Journal of Medicine, avrebbe “un’efficacia scarsa con la prima dose e non sono poche le reazioni avverse (27% dei casi) anche se fino a questo momento non particolarmente gravi: febbre, brividi di freddo, mal di testa, vomito, diarrea le più comuni”. Per quanto riguarda la sicurezza lo studio rileva che il 27% dei pazienti ha avuto eventi avversi contro il 12% di coloro ai quali è stato somministrato un placebo. Pochi i volontari, in entrambi i gruppi, che hanno accusato gravi o severi eventi avversi. In tutto sono sei i pazienti deceduti durante la sperimentazione, due tra quelli che hanno ricevuto il vaccino e quattro tra quelli trattati con placebo (e che dunque il vaccino non lo hanno avuto), “ma nessuna delle morti è stata considerata dagli studiosi in relazione con il vaccino o il placebo e nessun decesso associato al Covdi-19 è stato osservato”. Resta da capire, stando così le cose, perchè i colleghi del Tempo abbiano titolato sulle morti legate al vaccino Pfizer. Contro questo prodotto si è mosso – per suoi rancori personali – anche il dottor Mike Yeadon, ex vicepresidente e capo scienziato di Pfizer per l’allergia e l’apparato respiratorio, il quale afferma che la spinta verso un vaccino universale ha “l’odore del male” e che “si opporrà… con vigore”.
Questa presa di posizione ha trovato seguaci in Italia nel prof. Andrea Crisanti che ha affermato che non si sottoporrà alla inoculazione del vaccino anti Covid fino a che i dati di efficacia e sicurezza non saranno stati messi a disposizione sia della comunità scientifica sia delle autorità che ne regolano la distribuzione. Salvo poi rimangiarsi la cosa, per pudore.
In realtà il vaccino Pfizer, che arriverà per primo anche in Italia, fornisce una protezione, seppur limitata, fin da 12 giorni dopo la somministrazione della prima dose, si legge sul sito del British Medical Journal che riepiloga le evidenze illustrate nell’articolo scientifico “Safety and Efficacy of the BNT162b2 mRNA Covid-19 Vaccine”. L’efficacia del vaccino dopo la prima dose è del 52%. Ma dopo sette giorni dalla seconda dose l’efficacia cresce al 95% (media tra il 90.3% e il 97.6% dei gruppi considerati nello studio). Dunque funziona molto bene.
Oggi, poi una notizia che arriva dal Perù mette in cattiva luce uno dei vaccini cinesi. Lima ha annunciato di aver sospeso temporaneamente, a scopo precauzionale, le sperimentazioni cliniche del vaccino Sinopharm contro il coronavirus: a far scattare le procedure è stata l’individuazione di problemi neurologici in uno dei volontari. I test del vaccino avrebbero dovuto concludersi questa settimana, dopo aver testato circa 12mila persone, e il governo peruviano aveva programmato di acquistare circa 20 milioni di dosi. “Qualche giorno fa abbiamo debitamente riferito alle autorità regolatorie che uno dei nostri partecipanti mostrava sintomi neurologici che potevano corrispondere a una complicazione nota come Guillain-Barrè”, ha spiegato il ricercatore capo per gli studi clinici sul vaccino sviluppato dal laboratorio cinese Sinopharm. La sindrome di Guillain-Barrè è una condizione rara e non contagiosa in cui il sistema immunitario del paziente attacca parte del sistema nervoso periferico. Questo può portare alla debolezza muscolare e alla perdita di sensibilità nelle gambe e nelle braccia. A metà del 2019, il Perù aveva dichiarato un’emergenza sanitaria temporanea in diverse regioni del Paese a causa di diversi casi di questa sindrome,
dunque con il vaccino non c’entra per nulla.
Allo stato delle cose non è chiaro inoltre se il paziente che ha avuto i disturbi abbia ricevuto il vaccino o il placebo. Una situazione analoga a quella accaduta ad AstraZeneca in Brasile, dove l’evento avverso riguardò uno dei pazienti trattati con il placebo.
Ma contro i vaccini cinesi è stato sfoderato soprattutto un argomento che non c’entra nulla con l’efficacia e riguarda invece i giochi geopolitici che si sono fatti, da parte soprattutto della amministrazione Trump, per danneggiare la Cina. “Non c’è dubbio che la Cina stia praticando una diplomazia del vaccino per riparare alla sua immagine danneggiata”, sostiene ad esempio Huang Yanzhong, esperto di sanità pubblica per lo statunitense Council on Foreign Relations, citato dall’Afp. Il vaccino contro il Covid-19 “è diventato anche uno strumento per aumentare l’influenza globale della Cina e appianare questioni geopolitiche”.
Il presidente Xi Jinping ha più volte dichiarato che il vaccino cinese sarà un “bene pubblico globale”, ma per qualche misteriosa ragione i media rimproverano dia ver fatto accordi prioritariamente con Filippine, Malaysia, Cambogia, Laos, Myanmar, Thailandia e Vietnam, a cui Pechino ha promesso priorità nella distribuzione, e in secondo piano Nepal, Sri Lanka e Serbia. Inoltre, l’Indonesia ha già annunciato, domenica scorsa, di avere ricevuto il primo carico di vaccino prodotto da Sinopharm, per un totale di 1,2 milioni di dosi, a cui ne seguirà un secondo da altre 1,8 milioni, atteso entro fine gennaio 2021. Come se gli asiatici non avessero esattamente la stessa dignità degli occidentali e lo stesso diritto a vaccinarsi.
Una campagna di stampa negativa e del tutto infondata ha accompagnato anche il cammino del vaccino di AstraZeneca, ai cui ricercatori si è rimproverato recentemente di aver individuato in corsa (cioè nella fase tre) la dose ideale: una fiala e mezza, che assicura l’efficacia di oltre il 90 per cento. Questa grave colpa avrebbe vanificato, secondo media interessati, l’intera sperimentazione. Balle, come al solito.
Il vaccino di AstraZeneca in realtà è in attesa di ricevere l’autorizzazione da parte di EMA e appena arriverà, probabilmente ai primi di gennaio, “da quel giorno, in 24 ore, saremo pronti a fornire il vaccino”, ha spiegato Onofrio Palombella, coordinatore della task force vaccini di Astra Zeneca. Il manager ha aggiunto che con il Commissario Domenico Arcuri è stato definito un timing: “dalla seconda metà di gennaio il primo quantitativo di vaccino e le 40 milioni di dosi”. “In questa fase di emergenza, in cui il tempo è una variabile assolutamente dipendente, ovviamente si è privilegiata la disponibilità immediata, quindi avremo delle fiale multi-dose già diluite e pronte all’uso. Si tratta di fiale da 10 somministrazioni l’una e gestibili da 2-8 gradi, esattamente come il vaccino dell’influenza. Le fiale per tutta Europa verranno preparate in Italia, e poi attraverso la catena di distribuzione della DHL portate all’hub di Pratica di Mare. Da lì verranno distribuite in quota parte alle Regioni”.
Resta da vedere se queste notizie messe in giro per favorire l’uno o l’altro prodotto non finiranno con l’ingigantire invece l’esercito già cospicuo dei no vax. Il che sarebbe un bel guaio. Sulla fiducia nel vaccino anti-Covid, circolano statistiche che vedono già gli europei tra
le persone più dubbiose del pianeta.
Rispetto a Cina, Brasile e Sudafrica che registrano indici di fiducia sopra l’80% i Paesi Ue si collocano in coda, con la Polonia al 56%, la Svezia al 65%, la Germania al 68% e l’Italia al 70%. Con un’indicazione in più: globalmente in Europa la disponibilità a farsi vaccinare è scesa tra agosto e ottobre 2020, di poco in Italia, di più in Francia e ancora di più in Spagna.
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