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domenica 5 marzo 2017

REDDITO di DISOCCUPAZIONE in Italia? Quando?



L’Europa lo chiede dal ’92 e i paesi che ne erano ancora sprovvisti si sono adeguati. Tutti tranne uno: l’Italia. A 21 anni dalla Raccomandazione 92/441 con cui la Comunità Economica Europea ne sollecitava “l’introduzione in tutti gli Stati membri”, nel dibattito politico italiano sono tornati a far capolino i concetti di “reddito minimo garantito” e “reddito di cittadinanza“, strumenti di Welfare che nel resto del Continente consentono a chi boccheggia al di sotto della soglia di povertà 
di superarla e vivere una vita dignitosa.



L’UE LO CHIEDE DA ANNI. Tutto cominciò il 24 giugno 1992: con la raccomandazione 92/441, la Comunità Economica Europea sollecitava gli Stati a introdurre “il reddito minimo garantito, inteso quale fattore d’inserimento nella società dei cittadini più poveri”. Le richieste si sono ripetute nel corso degli anni: dalla Comunicazione della Commissione Ue COM (2006)44, alla raccomandazione 2088/867 CE, fino alla Risoluzione 2010/2039 del Parlamento Ue, che sottolinea “il diritto fondamentale della persona a disporre di risorse e prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana”. Nella lettera inviata al governo il 5 agosto 2011 la Bce chiede di introdurre “un sistema di assicurazione dalla disoccupazione” e tra i 39 punti della richiesta di chiarimenti del 10 novembre 2011 si legge della necessità di “rivedere il sistema dei sussidi di disoccupazione oggi molto frammentario entro la fine del 2011”. Tutti appelli caduti nel vuoto.
In Italia il dibattito politico sul tema è caratterizzato da una certa confusione terminologica: le due espressioni “reddito minimo garantito” e “reddito di cittadinanza” vengono usate come sinonimi, ma la differenza è sostanziale. “Il reddito di cittadinanza – spiega Roberta Bortone, docente di Diritto della sicurezza sociale alla Sapienza di Roma – è una forma universalistica di sostegno del reddito garantita dallo Stato a qualunque cittadino maggiorenne, sia che lavori o che non lavori, sia che in passato abbia lavorato sia che non lo abbia mai fatto. Che, quindi, viene assicurata vita natural durante ad ogni individuo a prescindere dalla sua disponibilità a lavorare”. Cosa diversa è il reddito minimo garantito, cui ha diritto “chi ha lavorato ed ha perso il lavoro, e che è agganciato agli ammortizzatori sociali”. Non solo: il Rmg è limitato nel tempo e condizionato alla disponibilità del beneficiario di accettare un’offerta di lavoro o a partecipare a programmi di formazione finalizzati al suo reinserimento nel mercato.
15 ANNI DI TENTATIVI. Il primo governo Prodi tentò di venire incontro alle richieste di Bruxelles con il Decreto Legislativo 18 giugno 1998, n. 237, che istituiva il Reddito Minimo di Inserimento, introdotto in Finanziaria per il 1998. Nonostante i discreti risultati raggiunti, il Rmi venne progressivamente smantellato e il governo Berlusconi smise di finanziarlo nel 2003. Nasceva allora nella Finanziaria 2004 il Reddito di Ultima Istanza, ma il progetto era confuso al punto che lo stesso anno la Corte Costituzionale lo dichiarò illegale (sentenza n. 423). Quattro anni dopo, nel 2008-2011, il secondo governo Prodi annunciò la reintroduzione del Rmi, che però non è stato mai finanziato. E ora, a parte i tentativi quasi tutti fallimentari delle Regioni (nel 2009 la giunta Marrazzo istituì il Rmg nel Lazio, ma la legge non viene più finanziata dai tempi della Polverini) e di altri enti locali (virtuoso il caso del “reddito di garanzia” introdotto dalla provincia autonoma di Trento), la sfida per garantire una vita dignitosa a tutti gli italiani riparte dal Parlamento.
Mentre in Italia giacciono in Parlamento proposte di legge mai discusse, nel resto d'Europa sono in vigore forme di sostegno e sussidi non destinati solo ai disoccupati. Dal modello scandinavo all'esperimento francese, ecco come funzionano e quanto valgono. Ma il primato va all'Alaska (grazie al petrolio). In Brasile povertà dimezzata con il piano di Lula.
L’ultima ad entrare nel club è stata l’Ungheria, nel 2009. Tutti gli altri paesi dell’Europa a 27 (tranne Italia) hanno adottato da tempo forme di reddito minimo garantito per consentire ai loro cittadini più deboli di vivere una vita dignitosa, così come l’Europa chiede fin dal 1992. Strumento pensato per alleviare la condizione di insicurezza di chi vive al di sotto della soglia di povertà, in caso di perdita del lavoro il reddito minimo scatta quando è scaduta l’indennità di disoccupazione (che in Italia è l’ultima tutela disponibile) e il disoccupato non ha ancora trovato un nuovo impiego. Ma nella Ue ne beneficia anche chi non riesce a riemergere dallo stato di bisogno nonostante abbia un lavoro. Negli ultimi anni la tendenza generalizzata, secondo il rapporto The role of minimum income for social inclusion in the European Union 2007-2010 stilato dal Direttorato generale per le politiche interne del Parlamento Ue, è stata quella di razionalizzare i vari sistemi, cercando di legare più che in passato il sostegno a misure per rafforzare il mercato del lavoro in modo da creare occupazione e ridurre il numero dei beneficiari. Ma il reddito minimo continua ad assolvere alla sua funzione: quella di ultimo baluardo garantito dagli Stati contro l’indigenza.
Nella UE il paese più progredito in tal senso sembra essere la Danimanca.
Il modello scandinavo danese è tra i più avanzati del continente ed è basato su un pilastro principale: il Kontanthjælp, l’assistenza sociale. Il sussidio è tra i più ricchi: la base per un singolo over 25 è di 1.325 euro (escluso l’aiuto per l’affitto, che viene elargito a parte), che arrivano a 1.760 per chi ha figli. I beneficiari che non hanno inabilità al lavoro sono obbligati a cercare attivamente un’occupazione e ad accettare offerte appropriate al loro curriculum, pena la sospensione del diritto. A differenza della maggior parte degli altri paesi, il sussidio è tassabile. E se ci si assenta dal lavoro senza giustificati motivi, viene ridotto in base alle ore di assenza. Fino al febbraio 2012, poi, esisteva lo Starthjælp, letteralmente “l’indennità di avviamento ad una vita autonoma”, il cui contributo minimo era di 853 euro: il beneficio è stato abolito in un tentativo di riorganizzazione e razionalizzazione del sistema.
Seguono poi gli altri paesi tra cui spiccano Germania, Francia, Belgio, etc. ma comunque una cosa è certa che secondo uno studio commissionato dalla Commissione Europea basato sui report nazionali dello EU Network of National Independent Experts on Social Inclusion, sono rari i casi in cui il reddito minimo “riduce sensibilmente i livelli aggregati di povertà”: “i paesi che meglio riescono ad elevare le condizioni dei loro cittadini più deboli verso la soglia di povertà sono Irlanda, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca”. Svolge, invece, un ruolo importante “nel ridurre l’intensità della povertà”.
Coraggio in Italia la lotta è ancora lunga ma uniti ce la possiamo fare!
REDDITO di DISOCCUPAZIONE per MDD.

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