inventata dal frate domenicano Galvano Fiamma
Fu, secondo una diffusa tradizione (cantata dal Carducci nella Canzone di Legnano e consacrata persino nel Famedio del cimitero monumentale di Milano), il comandante della famosa e leggendaria "Compagnia della morte", che nella giornata della battaglia di Legnano (29 maggio 1176), decisiva per il contrasto tra i Comuni italiani e l'imperatore, avrebbe, col suo disperato valore, salvato il Carroccio, risolvendo favorevolmente una situazione bellica che diventava sempre più pericolosa e minacciava di trasformarsi in una rotta per le forze della Lega lombarda. Che valore ha questa tradizione? E se si tratta di leggenda è leggendario anche il nome? Ricerche fatte, sia pure per altri scopi, da P. Pecchiai, hanno trovato che nel 1196, in un ricorso presentato a papa Celestino III da parte dei vicini della Porta Comacina di Milano per una vertenza circa l'amministrazione dell'ospedale di S. Sempliciano, figura il nome di un Alberto da Giussano. Possiamo dunque essere certi almeno dell'esistenza, proprio in anni vicini all'epoca della lotta contro Federico I, di una persona di tale nome, anche se non siamo in grado di affermare che si tratti veramente del condottiero. Egli avrebbe abitato presso quella chiesa di S. Sempliciano donde, come vuole la leggenda, sarebbero partite le tre bianche colombe, che i combattenti avrebbero visto, durante la battaglia di Legnano, posarsi sul pennone del Carroccio.
La leggenda di A. da Giussano non compare in nessuno dei cronisti contemporanei della battaglia di Legnano; solo con Galvano Fiamma (n. 1283-m.1344) essa prese inizio: di questo autore abbiamo varie opere di cui qui interessano la Cronica Galvaniana (Bibl. Naz. di Brera a Milano, cod. Braid. A.E.X.,10), il Chronicon maius,il Chronicon extravagans de antiquitatibus Mediolani (ms. cod. A. 275 inf., Milano, Biblioteca Ambrosiana), editi a cura di A. Ceruti in Miscellanea di storia italiana,VII (1869), pp. 445-784,e il Manipulus florum sive historia Mediolanensis,edito in Rerum Italic. scriptores,XI, col. 533-740.
Nel Chronicon maius (ed. Ceruti, pag. 718) il Fiamma descrive la "Societas de la Morth", composta di 900 militi scelti al comando di A. da Giussano: questi cavalieri avrebbero avuto come loro distintivo un anello d'oro e si sarebbero impegnati tutti a morire piuttosto che cedere; nella Cronica Galvaniana non si parla della "Compagnia della morte", ma si fa il nome di A. da Giussano: "Albertus de Gluxiano vexillum comunitatis habuit, cui inerant duo fratres gigantes fortissimi, scilicet Otto et Raynerius...". In realtà negli atti della famiglia Giussani, che ebbe molte relazioni col monastero Maggiore di Milano, non si trova questo Alberto in quegli anni: lo si trova invece nel 1196 nella parrocchia di S. Sempliciano di Milano in Porta Comacina, come sopra si è visto. Ma è possibile l'identificazione? È dunque da pensare che il Fiamma si sia basato su qualche leggenda, magari di origine dotta (si veda il particolare dell'anello d'oro che richiama i cavalieri del mondo classico romano o l'anello dei dottori), e che abbia avvertito la necessità di contrapporre al nome di Federico un altro nome. Pareva forse umiliante, per la mentalità del sec. XIII, dover solo parlare dei Milanesi e non poter attribuire la vittoria al valore di un individuo d'eccezione. Dal Fiamma la leggenda si diffuse, passò nella cronaca detta Flos florum della fine del XIV secolo (Torelli, La Cronaca milanese Flos florum,in Archivio muratoriano,Città di Castello 1906) e giunse a Bernardino Corio nella sua storia di Milano (Milano 1503; ibid. 1855-57), il quale scrisse che A. era "homo per galiardia sua reputato gigante". Nel Sigonio (Historiae de regno Italiae,Francoforte 1591) manca il nome di A., ma c'è la "Compagnia della Morte"; nel Ripamonti (Historiae Ecclesiae Mediolanensis,II, Milano 1625) ormai la leggenda si è fissata con la particolare descrizione fisica di A. da Giussano, il quale sarebbe stato, per la sua alta statura, conosciuto col nome di "il gigante".
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FONTANA E GALLERA SONO 2 INCOMPETENTI
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