L'Europa accusa la Lombardia
il Disoccupato fa Guadagnare le Agenzie Private
Soldi pubblici usati per arricchire le agenzie private del lavoro? Il rischio c’è, anche nella “virtuosa” Lombardia. Il sistema regionale di Dote unica lavoro, Dul, considerato fiore all’occhiello delle politiche attive in Italia, con quasi mille enti accreditati e decine di migliaia di collocamenti, è finito nel mirino delle istituzioni di vigilanza europee. Il pericolo è che le commesse per l’assunzione dei lavoratori, affidate dalle aziende alle agenzie private accreditate con la Regione, vengano “riciclate” come politiche attive per il reinserimento dei disoccupati. In modo da incassare il premio previsto per ogni contratto sottoscritto.
I finanziamenti utilizzati per far funzionare la macchina della Dul sono quelli del Fondo sociale europeo (Fse): 142 milioni di euro in sei anni fino al 2020. E ora i valutatori incaricati dalla Commissione Ue suonano il campanello d’allarme. Un faro acceso a livello nazionale, in realtà. Perché in una situazione in cui ogni regione fa a modo suo, senza una regia unica, il pericolo che si creino distorsioni c’è.
In un decreto emesso in piena estate dal Pirellone, e passato un po’ sotto traccia, emerge quello che tanti esperti in questi anni avevano denunciato: la Dote unica lavoro rischia di favorire il “gaming”. Ossia, si legge nel documento, «eventuali comportamenti distorsivi che potrebbero verificarsi a seguito di accordi tra gli operatori accreditati e le relative aziende clienti». E a metterlo nero su bianco sono per la prima volta le istituzioni europee preposte alla verifica del sistema. Nel decreto è scritto infatti che questi fenomeni «possono determinare il mancato rispetto dei principi della normativa comunitaria», così come viene fuori da una raccomandazione (relativa ad Audit sul Por Fse Lombardia 2007-2013).
In un decreto emesso in piena estate dal Pirellone, e passato un po’ sotto traccia, emerge che la Dote unica lavoro rischia di favorire il “gaming”. Ossia, «eventuali comportamenti distorsivi che potrebbero verificarsi a seguito di accordi tra gli operatori accreditati e le relative aziende clienti»
Potrebbe accadere, ad esempio, che un supermercato chieda all’agenzia privata di assumere un certo lavoratore. Una pratica normale. L’agenzia prende in carico il lavoratore, ma prima di instaurare il contratto lo iscrive alla Dote unica lavoro in modo da farlo risultare come disoccupato ricollocato per accaparrarsi il premio. Non solo: se il contratto scade dopo un anno, ma l’azienda ha necessità di rinnovare la risorsa per la stessa mansione, il gioco si ripete. Basta far iscrivere il candidato ai centri per l’impiego e quindi attestare che si tratti di un disoccupato. E il premio per l’agenzia privata diventa doppio. Questo, moltiplicato per migliaia di contratti, equivale a milioni di euro di premi di soldi pubblici che andrebbero nelle casse delle agenzie private. Con il rischio che queste risorse vengano usate per trovare lavoro a chi non ha bisogno di politiche attive,
mentre i disoccupati restano a guardare.
Tant’è che la Regione nello stesso decreto ha inserito un paletto in più: non viene riconosciuto il risultato di “inserimento e avvio al lavoro” nel caso in cui il destinatario della dote sia stato occupato nella stessa azienda nei sei mesi precedenti. E la regola si applica a tutte le aziende del gruppo a cui appartiene l’agenzia privata.
«Dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse, la situazione in Lombardia sembra abbastanza controllata. Non mi pare che ci siano situazioni distorsive diffuse», commenta Antonio Verona, responsabile del Dipartimento mercato del lavoro della Cgil Milano. «L’allarme delle istituzioni europee vale a livello nazionale. Il problema della Dote unica lombarda, però, resta il fatto che le strutture private accreditate non svolgono un servizio pubblico, ma mirano a ottenere profitto, e quindi tendono a scartare i lavoratori scarsamente appetibili sul mercato. Cosa che le strutture pubbliche non possono fare».
Molti lavoratori, magari poco scolarizzati o in avanti con l’età, si sentono spesso rispondere dalle agenzie private accreditate “Non ho tempo”, “Non ho più doti a disposizione”, “Ripassa tra tre mesi”. Potendo fare una scrematura, scelgono solo i lavoratori più appetibili sul mercato, incassando così più soldi dai premi occupazionali
Il 90% del premio in denaro della Dote unica lavoro arriva a risultato ottenuto, e non per la presa in carico (qui i budget suddivisi per operatore). Ecco perché molti lavoratori, magari poco scolarizzati o in avanti con l’età, si sentono spesso rispondere dalle agenzie private accreditate “Non ho tempo”, “Non ho più doti a disposizione”, “Ripassa tra tre mesi”. «Questo è il vero elemento distorsivo», dice Verona. «Sono agenzie private, ma hanno avuto l’accreditamento a svolgere una funzione pubblica. Eppure potendo fare una scrematura, scelgono solo i lavoratori più appetibili sul mercato, incassando così più soldi dai premi occupazionali». Mentre le agenzie pubbliche come le Afol e i centri per l’impiego, che non possono “rimbalzare” nessun lavoratore, collezionano tante prese in carico ma scarse collocazioni. E restano con pochi spiccioli in mano.
«Il problema è che non esiste una regia come accade ad esempio in Trentino, dove si passa prima dal Centro per l’impiego, che decide a quali servizi pubblici o privati indirizzare il lavoratore», spiega Verona. «In Lombardia il lavoratore sceglie la struttura a cui rivolgersi per vicinanza o perché glielo ha consigliato qualcuno, senza alcuna competenza specifica. Non c’è un operatore terzo che possa guidarli». E così le figure professionali più spendibili sul mercato hanno più probabilità di essere ricollocate, facendo guadagnare le agenzie private. I disoccupati più svantaggiati restano invece disoccupati ai margini del mercato del lavoro.
Con buona pace delle risorse pubbliche messe a disposizione.
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